Musica. Il lato oscuro dei Rolling Stones
SESSO, DROGA, ROCK’N’ROLL. MA ANCHE TANTA AMAREZZA E TANTI SCHERZI. DOPO 50 ANNI DI NUOVO «LET IT BLEED».
ALDILÀ DELLA MITOLOGIA, del folklore, delle fanfaronate, mezzo secolo fa i Rolling Stones, a cinque anni dal primo album, erano entrati in un loro periodo magico. Se all’inizio erano vivaci scolaretti british pronti a ricicciare in chiave beat le lezioni americane di Chuck Berry e altri venerati maestri, adesso dall’asse Mick Jagger - Keith Richards sgorgavano caos ed energia, sesso droga e quell’eterna distanza dalla «satisfaction» che li portava ad allargare i confini del loro rock. Verso un poker di album-capolavoro tutti prodotti da Jimmy Miller: Beggars banquet (1968), Let it bleed (1969), Sticky fingers (1971) ed Exile on main st. (1972).
TRA QUESTI, FORSE Let it bleed, di cui cade il 50esimo compleanno (con l’inevitabile riedizione di lusso con l’album in stereo e in mono, libretti, poster, vinile e altro), è il più sofferto, segnato com’è da una transizione luttuosa. A giugno del 1969 gli Stones avevano cacciato dal gruppo il membro fondatore Brian Jones, caschetto biondo e irrequieto multistrumentista ormai tossico fino all’ingestibilità, il quale il 2 luglio successivo era annegato nella sua piscina, prima grande vittima 27enne del rock. Tre giorni dopo, in un concerto a Hyde Park già programmato da tempo, era arrivato a rimpiazzarlo un introverso, eccellente chitarrista 20enne: Mick Taylor.
I CHITARRISTI INCROCIATI sono però solo comparse tra le pieghe di Let it bleed :su You got the Silver, prima prova di Keith Richards da voce solista, c’è ancora Jones, su Live with me c’è già Taylor. Love in vain, canzone di treni presi e occasioni perdute del mitico bluesman Robert Johnson, è l’unico pezzo non firmato Jagger e Richards. I due in realtà quasi mai scrivono insieme; fa eccezione Midnight rambler, cupo blues composto in relax a Positano. Indimenticabili Gimme shelter e You can’t always get what you want: apertura e chiusura da tempi di guerra.
IL RITORNO DI UN CAPOLAVORO DEL ROCK