Editoriale - Coming out
METTI UN BAMBINO DI APPENA DIECI ANNI. Un bambino di quelli tranquilli e delicati che in genere sono le vittime predestinate dei compagni di classe. Metti che questo bambino, invece, venga preso di mira dagli adulti, da quegli adulti che subito dopo la famiglia dovrebbero accoglierlo e proteggerlo nel primo nucleo sociale esterno con cui si confronta: la scuola. Il prof di Italiano un giorno entra in classe, sbatte i guanti sulla cattedra e gli si avventa contro senza ragione. Forse è infastidito dal suo garbo: riconosce in lui una diversità che lo irrita. Lo trascina fino alla parete e gli molla un ceffone. Forte. Senza dire una parola. La scuola rimuove il prof dall’incarico e cambia sezione al bambino. Nuovi insegnanti, nuovi compagni. Il professore di Disegno assegna un compito: ogni alunno deve ritrarre i propri compagni in gruppo, come se fosse la foto di classe. Alla consegna dei disegni il professore esclama «lui avreste dovuto disegnarlo come una bella signorina!». Ah, dimenticavo: in terza elementare un maestro lo aveva sbeffeggiato davanti a tutti «guardate come somiglia a una scimmia». Da questi episodi è passato tanto tempo, tutto sommato quel bambino se l’è cavata: tant’è che quello che state leggendo l’ha scritto lui. Cioè io.
A tanti altri è andata molto peggio, lo so.
Ma come in tutte le storie a lieto fine non è tutto oro ciò che luccica; quei gesti e quelle parole antiche segnano per sempre. Soprattutto se li subisci all’inizio della vita, laddove tutto ha ORIGINE, riemergono inspiegabilmente sebbene li considerassi archiviati. E sono cazzi tuoi. Per poter gestire le conseguenze del danno sono indispensabili strumenti che da piccoli non abbiamo: a questo proposito vi raccomando la nostra Inchiesta (pag. 204) sul tema, che ormai è diventato un tormentone quotidiano per chi segue l’attualità, ma più ancora un tormento, secondo il più recente report pubblicato dall’Istat, per oltre un giovane su due. Vale la pena di ripeterlo: oltre il 50 per cento degli 11-17enni è stato vittima, almeno una volta, di atti di bullismo. E questo senza nemmeno contare le varianti cosìddette «cyber»: le più nuove e perniciose, che si annidano nel mondo digitale, specie nei social.
Infine: non cadete nell’errore che facciamo tutti, quello di credere che la colpa sia di chi subisce. E parlatene. Parlatene con qualcuno, che siano i genitori, i nonni, gli zii, o un adulto di cui vi fidate.
(alessandro.calascibetta@rcs.it).