Macromicro - Ma che succede ai Btp?
(non c’è più il reddito f isso di una volta)
I mercati non si fidano più dei titoli di stato. Che diventano rischiosi. Procedere con cautela, e investire informati
L’Europa frena. America e Cina continuano a darsele di santa ragione a colpi di dazi. Le banche centrali fanno quello che possono. E quello che possono è fare in modo che il costo del denaro sia il più basso possibile. Tradotto: andare in banca e chiedere prestiti, che siate una famiglia o un’impresa, teoricamente dovrebbe essere più facile e per di più pagando bassi tassi di interesse. Teoricamente, perché così non è.
Provate ad andare in banca a chiedere un prestito avendo in tasca solo un’idea e il modo di realizzarla. Non troverete certo le porte spalancate. I signori delle banche ultimamente amano pochissimo il rischio. Sono pronti a inondare di soldi e liquidità aziende «sicure» che proprio per questo probabilmente non ne hanno bisogno.
Ma sono molto poco propense a fare lo stesso con imprese e aziende che, attraversando momenti difficili, avrebbero bisogno di qualcuno che creda in loro e li aiuti a ripartire. Intendiamoci, anche a noi risparmiatori piace pochissimo il rischio. Ma le banche fanno quello di mestiere.
Se chiedete a Mario Draghi, lui sa bene quanto sia difficile spingere un istituto di credito a prestare soldi. La valanga di critiche che si è preso dai tedeschi per la sua ultima manovra prima di lasciare a Christine Lagarde la Banca centrale europea, è legata proprio alla decisione con la quale il presidente dell’istituto di Francoforte ha varato misure per tenere bassi i tassi di interesse. Misure che si riassumono (al di là dei tecnicismi), in poche righe: care banche, dovete pagarmi interessi più salati se i soldi invece di prestarli li depositate presso la Bce. Se invece volete prestarli alle famiglie e alle imprese ve li do io con tassi e tempi favorevoli. Ma se i tassi rimangono bassi, e ormai lo sono da anni, le banche non possono guadagnare semplicemente trasferendo i soldi da chi ce li ha a chi non li ha. E allora si sono messe a fare trading. Comprando e vendendo tutto, dalle azioni ai titoli di Stato. Lo scopo? Fare soldi con le commissioni. In altri termini: ormai il concetto di rischio non si applica solo alle azioni ma anche ai titoli di Stato, considerati un tempo blindati.
Scommettere sull’andamento di titoli «sovrani», come dicono gli esperti, è ormai diventata la norma. Non si capirebbe altrimenti perché i Btp decennali italiani per essere sottoscritti debbano pagare più interessi degli analoghi portoghesi e spagnoli. Non dipende solo dalla politica. In Spagna ci si appresta a votare a novembre per la quarta volta in quattro anni. In Portogallo presidente della Repubblica e primo ministro sono di partiti diversi e spesso in disaccordo. Quello che conta è la chiarezza. Se i governi indicano la direzione i mercati si fidano, altrimenti no.
E allora noi risparmiatori che cosa facciamo? In un mondo dove la politica sembra orientata a destrutturare più che a costruire (Brexit, guerra dei dazi, rivalse tra Paesi membri), dobbiamo abituarci al rischio. Che significa diversificare tra azioni (capitale di rischio; si può perdere tutto con un crollo in Borsa), e reddito fisso (il capitale alla scadenza lo riprendi integralmente). Ma anche sul fisso si richiede tempismo. Chi avesse puntato nello scorso gennaio sui titoli italiani a 20 anni oggi si godrebbe rendimenti oltre il tre per cento, il che significa che a venderli ci guadagnerebbe un bel po’ di soldi (avendoli acquistati con tassi alti e quindi a prezzi bassi). Il rischio richiede coraggio, ma anche un minimo di consapevolezza e conoscenza finanziaria per non dovercela prendere con amici e consulenti.
SCOMMETTERE SULL’ANDAMENTO DEI TITOLI DI STATO, UN TEMPO BLINDATI, è DIVENTATO LA NORMA. CON TUTTI I RISCHI CHE NE DERIVANO