Il paesaggio è nell’ambiente
La pittura e le relazioni che può instaurare con ciò che la circonda rendono la fruizione dell’opera un’esperienza fisica. L’arte secondo Paolo Parisi.
NEL SETTECENTO i «pittori di veduta» usavano la camera ottica per ottenere immagini quanto più possibile fedeli alla realtà. Il lavoro di Paolo Parisi si basa su un’idea del tutto simile: i suoi paesaggi contemporanei sono concepiti come mappe o progetti d’architettura, cioè tecniche di rappresentazione razionali e oggettive; le emozioni però, cacciate dalla porta, rientrano dalla finestra sulle ali del colore: intenso, profondo e talora diffuso in tutto l’ambiente grazie a filtri o luci colorate.
«Tento di trasformare l’idea e la pratica pittorica del paesaggio, facendone qualcosa di davvero contemporaneo» spiega, «e aggiungendo magari non solo sensazioni ma anche un pizzico di conoscenza in più sulle cose». Per questo l’artista catanese, che ora vive in Toscana (il Museo Pecci di Prato ha appena inaugurato la sua installazione MUSEO, un lettering grande 4x40 metri, in precedenza esposto a Firenze), predilige il colore monocromo, disposto secondo griglie e campiture metodiche e razionali, che alle volte sembrano riprodurre la mappa di un territorio (come in Coast to Coast ,un grande olio del 2006) oppure la trama di un tessuto.
Recentemente poi i suoi originali paesaggi non si limitano al quadro ma dilagano nell’ambiente: Commonplace (2011), per esempio, è un’installazione composta da tre dipinti neri appesi in tre diverse stanze invase da differenti luci colorate: rosso, verde e blu (RGB, l’acronimo che definisce i colori utilizzati in tutte le immagini sintetiche, cioè le basi del nostro universo visivo). «Ho schermato tutte le finestre con filtri che in se stessi assomigliavano a quadri astratti, specie ai lavori di Piet Mondrian o di Josef Albers…» racconta. «Grazie a loro, tutto lo spazio viene invaso dal colore e dai giochi di ombre dei filtri stessi; anche i quadri veri e pure i visitatori, i quali diventano così parte del “paesaggio”».
LA DIMENSIONE SOGGETTIVA e contingente della nostra percezione è al centro anche di Observatorium (2008), allestito al Museo Pecci di Prato: lo spettatore era invitato a entrare in un piccolo ambiente chiuso, isolato e vagamente claustrofobico, da cui osservare l’esterno attraverso apposite aperture sagomate. «Invece del quadro ho cercato di incorniciare lo sguardo nel campo infinito delle possibilità delineando alcuni possibili tagli di visione che così diventano “paesaggi”». Dopodiché sta a chi entra decidere se guardare e quanto a lungo. «Certo» sorride Parisi, «è lo spettatore che fa l’opera. Sono del tutto convinto che l’arte sia scambio, relazione, investimento reciproco; e forse è sempre stato così».