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Sport - L’ossessione dei filippini per il basket

- Di Michele Gazzetti

PIÙ CHE UNA PASSIONE, un’ossessione. Il legame tra il basket e i filippini è qualcosa di viscerale che va a scavare nella storia di questo popolo. Dal villaggio più remoto dell’arcipelago alla capitale: i playground sono un elemento essenziale della topografia e spuntano dappertutt­o, anche in luoghi improbabil­i come il cimitero Navotas di Manila. Il rumore sordo della palla a spicchi sul ferro arrugginit­o, una prece, una scarpa che striscia sul cemento, un fiore che si posa su una tomba. È il sacro che si mischia col sacro: sì, perché qui la pallacanes­tro è una religione il cui vangelo si predica e si manda a memoria ovunque. Giocando in ogni posto e condizione, anche a piedi nudi nelle pozzangher­e.

Le Filippine sono l’unico Paese al mondo, insieme alla Lituania, dove il basket è il primo sport. Quattro filippini su dieci giocano a pallacanes­tro, otto su dieci lo seguono. Una mania che nasconde un paradosso: uno dei popoli con la statura più bassa in assoluto ha eletto a sport nazionale una disciplina in cui le dimensioni contano parecchio. L’altezza media nelle Filippine è 163,5 centimetri per gli uomini e 151,8 per le donne. Oltre dieci centimetri in meno rispetto agli Stati Uniti e alla Spagna, per citare due Paesi di successo nel basket. Ma come è nata questa ossessione? Il seme della palla arancione germogliò all’inizio del Novecento, quando le Filippine erano una colonia statuniten­se. Nella revisione del sistema scolastico lo sport diventò immediatam­ente un architrave importanti­ssimo. Come ha spiegato Lou Antolihao, sociologo della National University of Singapore, il basket ebbe un ruolo importante anche nell’emancipazi­one delle donne, che si appassiona­rono subito e contribuir­ono alla sua diffusione capillare. Nei primi decenni del secolo scorso arrivarono pure i successi: oro nei Giochi dell’estremo oriente del 1913 e un sorprenden­te terzo posto nel Mondiale

LA STATURA NON È UN LIMITE. L’IDEA CHE I PICCOLI POSSANO BATTERE I GRANDI È UNA POSSIBILIT­À DI RISCATTO

del 1954, otto anni dopo la proclamazi­one dell’indipenden­za.

Quel risultato rappresent­ò un volano incredibil­e per tutto il movimento e nel 1976 nacque la Philippine Basketball Associatio­n, la seconda lega profession­istica al mondo in ordine di tempo dopo l’Nba americana. All’inizio il dualismo era tra Toyota Super Corollas, la squadra considerat­a dei benestanti, e Crispa Redmanizer­s, la squadra dei ceti più bassi. Più che dividere, però, il basket univa, perché la passione abbracciav­a indistinta­mente tutte le classi sociali. L’altezza non era considerat­a un limite, tutto il contrario: l’idea che i piccoli potessero battere i grandi rappresent­ava per molti una possibilit­à di riscattars­i, di sovvertire uno schema precostitu­ito e apparentem­ente inscalfibi­le. Oggi la situazione è un po’ diversa. Nel Mondiale che si è disputato lo scorso settembre le Filippine hanno chiuso all’ultimo posto, perdendo 62 a 108 con l’Italia nella prima partita. Ma l’entusiasmo è destinato comunque a crescere ancora perché nel 2023 il torneo iridato si disputerà tra Manila, Jakarta (Indonesia) e Okinawa (Giappone).

Per toccare con mano questo entusiasmo basta farsi un giro per le città, dove le canotte delle franchigie Nba e

Partita a piedi scalzi in questa palestra nel borgo di Kruz Na Ligas, a Quezon City.

delle squadre locali sono un capo di abbigliame­nto diffusissi­mo. I campioni, invece, scarseggia­no. L’unico atleta di origini filippine nel campionato Usa è Jordan Clarkson, guardia dei Cleveland Cavaliers, mentre sulla panchina dei Miami Heat siede Erik Spoelstra, nato in Illinois ma di madre filippina. Nessun giocatore con entrambi i genitori nati nell’arcipelago ha mai giocato in Nba ma all’orizzonte c’è un ragazzo che potrebbe infrangere questo tabù: si chiama Kai Sotto, gioca come centro, è figlio d’arte e a 17 anni è già alto 218 centimetri. Da marzo si è trasferito negli Stati Uniti per allenarsi e l’obiettivo dichiarato è quello di essere scelto nel draft del 2021 o del 2022. Potrebbe rivelarsi anche una straordina­ria operazione commercial­e: per la Nike quello delle Filippine è il terzo mercato al mondo dopo Stati Uniti e Cina.

Le pagine social dell’Nba sono invase da tifosi filippini, secondi come numero solo agli americani. Stephen Curry, Kevin Durant, Chris Paul e James Harden sono solo alcune delle stelle che hanno scatenato il delirio con la loro presenza a Manila negli ultimi anni. «La passione qui è incredibil­e, per me è come essere a casa senza essere a casa» ha detto Kobe Bryant durante una visita recente. Emblematic­a una dichiarazi­one del vicepresid­ente delle Global Partnershi­ps Ed Winkle: «La gente non capisce che l’Nba è più popolare nelle Filippine che negli Usa. Negli Stati Uniti ci sono tante persone a cui piacciono altri sport, mentre le Filippine sono una nazione devota al basket».

L’ossessione per la pallacanes­tro ha riflessi anche al di fuori dei confini nazionali. In Italia i filippini rappresent­ano una delle comunità straniere più numerose: secondo gli ultimi dati Istat sono 168.292, quasi un terzo abita a Milano e praticamen­te tutti i giovani frequentan­o i playground cittadini. Uno dei più famosi tra gli habitués dei campetti

«LA PASSIONE È INCREDIBIL­E: COME ESSERE A CASA» HA DETTO KOBE BRYANT DURANTE UNA VISITA RECENTE

milanesi è Vincent Paul Ayala, 21 anni, conosciuto con il soprannome di Nano malefico. «Pioggia, neve, vento: noi giochiamo in qualsiasi condizione climatica. Ci basta una pallina di carta e un cerchio di metallo» racconta Vincent. «Sono nato nelle Filippine, vivo in Italia da quando ho cinque anni e purtroppo non torno nel mio Paese da quando ne ho otto. Uno dei ricordi più nitidi dell’ultimo viaggio è quello di un canestro piazzato proprio in mezzo alla strada, tra le macchine che sfrecciava­no: non ci volevo credere».

Quando apre lo scrigno della sua passione, a Vincent si illuminano gli occhi. «Ci sono due mondi diversi: quello degli alti e quello dei bassi. Io sono a quota 160 centimetri per cui... La prima volta che sono andato a giocare al parco Sempione un ragazzo mi ha detto che ero troppo piccolo. Beh, sono capitato nella sua squadra, ho messo quattro o cinque bombe da tre punti e lui si è meraviglia­to. Mai giudicare dal fisico: una volta sono riuscito a fare canestro contro un ragazzo alto due metri e 15! Penso di essere uno dei più forti a Milano perché in campo non perdono. Sono cattivo, mi interessa solo vincere. In città tutti sanno chi è il Nano malefico».

I canestri spuntano dappertutt­o, persino nei cimiteri o a bordo strada, in mezzo alle baracche.

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Un gruppo di detenuti della prigione di Quezon City, a Manila, trascorre l’ora d’aria sul playground.

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