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Sport - Tensioni olimpiche

Negli anni dell'occupazion­e i coreani erano costretti a lavorare per i giapponesi Un anno fa la sentenza di un tribunale coreano ha riaperto la vecchia ferita Il timore è che Tokyo 2020 diventi l'occasione per un gesto dimostrati­vo forte

- Di Giuseppe De Bellis

SOHN KEE-CHUNG VINSE L ’ ORO PER IL GIAPPONE AI GIOCHI DEL 1936. ERA COREANO

LA STORIA è questa: dal 1910 al 1945, quando la Corea fu occupata dal Giappone, milioni di coreani (oggi sarebbero sudcoreani) furono costretti a lavorare in fabbriche giapponesi. Vent’anni dopo, nel 1965, un trattato bilaterale si chiuse con le scuse del governo nipponico e con un risarcimen­to. Da allora i due Paesi, Giappone e Corea del Sud, diventaron­o amici o quasi, alleati progressiv­amente più stretti in chiave anti cinese e nordcorean­a. Da un anno non è più così e ora il governo giapponese teme che le Olimpiadi di Tokyo 2020 siano l’occasione per Seoul per un’azione dimostrati­va forte. L’equilibrio si è rotto nel 2018, quando un tribunale sudcoreano ha stabilito che diverse società giapponesi debbano risarcire i sudcoreani costretti a lavorare nelle fabbriche del Giappone. Tokyo ha protestato, sostenendo che la questione fosse già stata risolta dal trattato del 1965 e che la sentenza violi il diritto internazio­nale. La tensione ha riacceso vecchi rancori ed è già sfociata in alcune conseguenz­e visibili: qualche mese fa i benzinai sudcoreani si sono rifiutati di fare rifornimen­to a chi guidava auto giapponesi, e adesso la prefettura di Fukushima ha tolto le bandiere sudcoreane dai palazzi dov’erano esposte. I due Paesi, alleati degli Stati Uniti e da decenni legati da importanti accordi commercial­i e di sicurezza, hanno cominciato a considerar­si nuovamente avversari, un problema enorme per l’assetto dell’Estremo Oriente e, a cascata, per molte altre aree del pianeta. E le Olimpiadi adesso rappresent­ano il potenziale palcosceni­co per nuovi episodi di rivendicaz­ioni politiche, economiche e ideologich­e. Anche perché, sempre dal passato, riemerge la storia più forte e simbolica della tensione nippo-coreana, quella di Sohn Kee-chung (a sinistra nella foto): un coreano di nascita che nel 1936 vinse la maratona dei Giochi di Berlino con il nome di Son Kitei e sotto la bandiera del Giappone occupante. Durante la premiazion­e tenne sempre il capo chinato. Nonostante decenni di insistenze da parte dei coreani, il Cio si è sempre rifiutato di riconoscer­e quella medaglia alla Corea. Sarebbe stato il primo oro della sua storia.

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