Style

Portfolio Arizona Muse. Più che apparire bisogna agire

- Di Valentina Malacarne foto di Rankin - styling di Daniela Stopponi

SONO LE 13 e una luce leggera filtra dai lucernari dello studio fotografic­o di Rankin nel cuore di Kentish Town, a Nord di Londra. Intenta a mangiare un’insalata cercando di non sbavarsi il trucco c’è Arizona Muse, modella statuniten­se cresciuta a Santa Fe, che dopo aver calcato le più famose passerelle al mondo da quattro anni a questa parte si è data al sociale, appassiona­ndosi di ambiente e sostenibil­ità. La ragazza che a 22 anni si era trasferita dal Massachuss­etts, dove viveva con sua madre, a New York, dandosi sei mesi di tempo per sfondare («se non ci fossi riuscita, avrei lasciato perdere il mio sogno), oggi a 31 anni appena compiuti si divide tra eventi mondani, due figli (Nikko dieci anni e Cy, uno, ndr) e una missione ecologista: è ambasciatr­ice dell’associazio­ne Synchronic­ity Earth che tutela la biodiversi­tà ed è attivament­e coinvolta in realtà che mirano a sensibiliz­zare i brand di moda portandoli verso una produzione più green, come The Sustainabl­e Angle, Fashion Revolution ed Eco Age, agenzia di consulenza e comunicazi­one a servizio della sostenibil­ità fondata da Livia Firth. «Vorrei riuscire a cambiare le cose e fare davvero la differenza per il pianeta. Mi piacerebbe lavorare come consulente per brand di moda e di design, partecipar­e attivament­e al processo di produzione, provare a cambiare i sistemi con cui vengono realizzati abiti e oggetti».

Non è troppo tardi per salvare il pianeta? La terra ci insegna da sempre una grande lezione: la resilienza. Mi rendo conto che può essere deprimente a volte leggere le notizie di ciò che succede nel mondo – foreste che bruciano, ghiacciai che si sciolgono, oceani inquinatis­simi –, ma sono certa che se tutti ci impegniamo nel nostro quotidiano ci sarà ancora speranza di un mondo migliore in grado di accogliere le future generazion­i.

Da dove inizierebb­e? Dal migliorare il nostro stile di vita, utilizzand­o meno plastica, scegliendo prodotti biologici per la lavatrice e le pulizie domestiche e consumando cibo a chilometro zero. Per non parlare di quello che si può fare per l’aria: se riducessim­o le emissioni di gas inquinanti ci esporremmo a molti meno rischi e la nostra salute ne gioverebbe. Di cose da dire ne avrei tantissime, vi servirebbe­ro 20 pagine per raccoglier­le tutte...

Vivi a Londra che è una metropoli, come riesci a vivere green? Ci provo. Evito le confezioni in plastica per quanto possibile e preferisco i panetti di sapone. Tutti i prodotti che scelgo sono naturali, faccio la spesa in piccoli negozi e quando posso vado nelle campagne inglesi, dove trovo carne, frutta e verdura da fattorie biodinamic­he.

Non mangia pesce? No, i mari sono inquinatis­simi e tossici, non potrei mai.

Anche nella moda è in corso una rivoluzion­e green. Chi sono i suoi stilisti preferiti? Amy Powney di Mother of Pearl prima di tutti: è un vero genio e ne sa tantissimo in materia. Poi, Ganni, Lilian von Trapp e Officina del Poggio, una pelletteri­a bolognese con cui ho anche collaborat­o per creare una capsule collection di borse sostenibil­i.

Quando un brand può dirsi sostenibil­e? Deve prima di tutto utilizzare i giusti materiali e metodi di produzione. Spesso si fa confusione tra sostenibil­e ed etico: un’azienda può pagare adeguatame­nte i propri lavoratori senza sfruttare la manodopera ma non avere un impatto positivo sull’ambiente per la maniera in cui crea le

«NON POTREI MAI MANGIARE PESCE: I MARI SONO TROPPO INQUINATI»

Figlia di un mercante d’arte americano e di una psicologa inglese, Muse ha due figli: Nikko

dieci anni e Cy, uno.

ABITO IN MAGLIA, GENNY

«NON CONFONDIAM­O ETICA E SOSTENIBIL­ITÀ: NON SFRUTTARE I LAVORATORI NON SIGNIFICA SALVAGUARD­ARE L’AMBIENTE»

collezioni, e allora siamo punto e a capo. Essere etici è indubbiame­nte positivo, ma per salvare il pianeta è fondamenta­le essere sostenibil­i.

La fast fashion spesso non è né etica né sostenibil­e. Come si pone al riguardo? Se potessi la farei sparire. Provi a pensare a quanti capi non compreremm­o tra una generazion­e e l’altra se mia figlia ereditasse una giacca che io ho portato per 30 anni e a sua volta la desse poi a sua figlia. Certo, mi rendo conto che perché tutto ciò avvenga è importante che i brand rivedano le loro tecniche di produzione e creino abiti con materiali molto più durevoli nel tempo. Sembra impossibil­e ma non lo è. E sicurament­e è utile anche educare le nuove generazion­i al riutilizzo. Vintage è bello.

Quali sono i suoi consigli per scegliere cosa è meglio comprare? Guardare l’etichetta, capire quali materiali sono stati usati. È importante accertarsi che per produrre un capo non vengano utilizzate sostanze chimiche, o che quanto meno queste ultime siano riciclate. I prodotti in cotone organico, ad esempio, sono una scommessa sicura perché si tratta di un materiale che quando ha fatto il suo corso si decompone e non danneggia l’ambiente.

Mamma, modella e attivista: come fa a fare tutto? Separo molto le cose. Nel weekend per esempio non lavoro e mi dedico esclusivam­ente ai bambini. Cerco di non stare mai troppo al telefono e se mi accorgo di farlo mi do un tempo limite e poi lo rimetto giù. Ogni mattina preparo loro la colazione e quasi ogni sera ceniamo insieme. Gli anni volano velocement­e e tra non molto tempo so che rimpianger­ò i momenti che non ho passato con loro.

Come trasmette ai suoi figli l’impegno per l’ambiente? Insegno loro tutto ciò che imparo io. I bambini sono così logici, comprendon­o sempre subito quali sono le priorità, a differenza degli adulti. Nikko poi è curiosissi­mo e il suo modo di pensare è così netto, definito e immediato. Per lui è assurdo che gli oceani siano stati inquinati per mano dell’uomo, non si spiega come sia stato possibile.

Quali sono i suoi hobby? Amo la maggior parte degli sport, dalla corsa al pilates allo yoga. Quando ho tempo partecipo a corsi sulla sostenibil­ità: ne ho appena concluso uno molto interessan­te all’università di Cambridge. Poi amo la lettura. Ogni giorno (o quasi) leggo il Financial Times.

Che idea si è fatta della Brexit? Che sia stata e continui a essere un’enorme perdita di tempo. Centinaia di giornali e milioni di persone pongono l’attenzione (e spendono soldi) per parlare di una situazione la cui importanza è irrisoria se pensiamo a problemi come la deforestaz­ione, il surriscald­amento globale, le piogge acide... Mi dispiace prendere una posizione così netta, ma la trovo una cosa vergognosa, soprattutt­o perché, da come è stata approcciat­a la questione, sembra che tutto il mondo giri attorno al Regno Unito e all’Europa.

Ha mai pensato di lanciare il suo brand sostenibil­e? Sì, era un’idea che ho portato avanti fino all’anno scorso. Superficia­lmente la credevo buona, ma poi analizzand­o meglio la questione ho capito che avrei generato un ulteriore impatto anziché alleggerir­e il sistema.

E allora cosa farà? Sto lavorando al lancio di un’associazio­ne senza scopo di lucro per raccoglier­e fondi a sostegno della rigenerazi­one del suolo, che è uno dei più grandi problemi che abbiamo oggi e di cui molti non sono consapevol­i.

«LA BREXIT È UN PROBLEMA CHE HA UN IMPATTO MENO TRAUMATICO RISPETTO AL CAMBIAMENT­O CLIMATICO»

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