Tubero eclettico
Nutrienti e fusion ante litteram, le patate sono all’origine del gattò.
UNA PREMESSA, perché quando si parla del gattò una precisazione va fatta subito: il nome (bellissimo!) non c’entra con gli amati felini, è una traduzione in napoletano di gâteau, ossia torta in francese. Sì, il gattò è stato messo a punto dai monzù (traduzione napoletana di monsieur), i capocuochi francesi di ricchi nobili napoletani attivi nel XVIII e XIX secolo e che molto hanno dato alla nostra cucina. La fusion è nata prima di quanto si pensi…
Io amo le patate. Per quattro motivi. Il primo: mi piace moltissimo il loro sapore, di tutte, da quelle standard, le «bintje» – è un cultivar olandese diffuso un po’ dovunque, adatto a tutti gli usi – a quelle (poche) di montagna ancora prodotte, dalle ottime «ratte» francesi alle ancor migliori peruviane quando le trovo (ma sono rare, ahimé).
Il secondo: ho letto e studiato (ci ho fatto una tesi in Storia economica) quanto le patate sono state importanti nella storia dell’alimentazione. Hanno da sempre ben nutrito l’area andina, dove sono state domesticate circa dieci mila anni fa, e, dopo la scoperta dell’America, la loro diffusione in Asia orientale, Europa e infine nel resto del mondo è stata il primo motore della rivoluzione agricola che ha permesso di sconfiggere la secolare fame, dato che le patate si sono aggiunte ai cereali ma essendo coltivate in terreni diversi non hanno rubato spazio a questi. Rispetto assoluto, quindi.
Il terzo motivo: sono un ingrediente che più eclettico non si può, si sposano bene con tutto arricchendo senza prevaricare.
Infine, sono il mantra che cito sempre quando mi chiedono se io sia favorevole o meno all’introduzione, nella cucina italiana ed europea, di ingredienti di altre tradizioni: non posso che essere favorevole dato che amo le patate. Pochi capiscono al volo ma questo è un colpo ben assestato per tutti quegli sciovinisti alimentari e non che ahimé prosperano nel nostro Paese. Fra tutte le ricette di patate quella che amo di più è proprio il gattò.
C’È ANCHE UN MOTIVO DI FAMIGLIA . Il nonno materno, Arturo, napoletano, che viveva a Milano e si era sposato con Irma, biellese, era un bravissimo cuoco amatoriale (di mestiere invece allevava levrieri da corsa). Io purtroppo non l’ho conosciuto, dato che è morto prima che nascessi, però nonna e mamma lodavano i suoi piatti, fra i quali il più amato da loro era il gattò, che mi magnificavano pur senza saperlo rifare. È così che ho incominciato ad amare questa ricetta ancor prima di assaggiarla... Inoltre è veramente eclettico, il che per me è un valore importante: è nobile, borghese e popolare allo stesso tempo, è al contempo antipasto, primo e secondo ma anche piatto unico, e per chiudere è facile da fare. E poi mi piace la sua anima franco-napoletana: sarà che adoro il meticciato…
Lo faccio molto spesso, credo almeno una volta al mese, e ne godo sempre. E se lo trovo in carta in un ristorante, quasi inevitabilmente lo ordino.