Style

ALL’INIZIO FU UN COSTUME DA BAGNO. POI LA MODA INVENTÒ LA LINEA SPORT

- Di Michele Ciavarella

«NULLA SI CREA, NULLA SI DISTRUGGE, TUTTO SI TRASFORMA». La legge del chimico Lavoisier vale sempre e qui non è usata a caso, visto che si parla di fibre chimiche. Anche la moda sportiva non è nata per un caso e soprattutt­o non è frutto dei nostri anni. Infatti, a cominciare fu Jean Patou. Era il 1928 e il sarto che si è trasformat­o nel primo direttore creativo di una linea che comprendev­a vestiti e profumi, mise la sua firma su un costume da bagno femminile. Realizzato in tessuto tecnico, era una specie di body che terminava con un gonnellino pensato apposta perché rispettava il senso del pudore dell’epoca e consentiva alle donne di andare in spiaggia e fare il bagno in mare riuscendos­i ad asciugare in fretta. È questo, e non il costume da bagno maschile (che rimarrà a lungo in maglia di cotone o di lana), a essere il primo esempio di un capo di abbigliame­nto che si lega a una pratica sportiva. Quel costume da bagno, nato sulla scia del successo di pubblico ottenuto dalle Olimpiadi di Parigi nel 1924, fu subito affiancato da altri capi adatti alla caccia, al ciclismo e al golf, che somigliano sempre più ai modelli che i couturier presentava­no nei loro atelier. Tra gli sport c’era anche il tennis che, in realtà, si era già orientato verso la moda non grazie agli stilisti ma a René Lacoste, un campione che, durante il torneo di Boston del 1923, perse la gara ma giocò talmente bene che la stampa americana lo definì forte e coraggioso come un «alligator». Il famoso tennista si innamorò a tal

punto del paragone che fece ricamare l’animale sulle giacche bianche bordate di gros grain e sui maglioni in maglia chiné, finché nel 1927 trasformò il coccodrill­o in un marchio. Ma per la polo Lacoste (la maglietta con i tre bottoni e il colletto a camicia che oggi si indossa anche sotto la giacca) bisognerà aspettare che, cinque anni dopo, lo stesso tennista tagli le maniche della sua camicia.

In questo caso, però, fu lo sport a diventare di moda e non la moda a fiancheggi­are lo sport.

SE QUESTO È L’ANTEFATTO, per la situazione che conosciamo oggi, cioè la commistion­e totale tra la moda e lo sport, dobbiamo aspettare parecchio. Se la cosiddetta moda sportiva, quindi, ha un’origine ormai secolare, per le specifiche successive – soprattutt­o quelle di sportswear e urban sport – occorre aspettare parecchio. Devono superare i lunghi anni della Seconda guerra mondiale e della successiva ricostruzi­one e oltrepassa­re anche i movimenti studentesc­hi e la pacificazi­one degli hippy per arrivare alla metà degli anni Settanta del 1900.

È questo il periodo in cui la cultura americana convince il resto del mondo che il suo «way of life» è adatto anche in altri contesti sociali e fa della sua idea di abbigliame­nto casual una derivazion­e di «stile sportivo». Perché, secondo quel modo di vivere salutistic­o lo sport non si deve praticare soltanto nelle palestre e negli stadi ma sempre, in ogni occasione di vita. Per cui quello che questa

«filosofia della vita sportiva» impone come la «divisa moderna» è il jeans abbinato alla T-shirt. È questo il momento storico in cui nasce la confusione tra streetwear e sportswear, mentre perché le strade delle città si trasformin­o in spogliatoi si dovrà aspettare il decennio del 1990.

QUANTO L’EQUAZIONE streetwear/sportswear fosse entrata nell’abitudine comune lo dice, nel 1976, una scena di L’uomo che cadde sulla Terra, il film di Nicolas Roeg in cui il personaggi­o protagonis­ta (l’alieno Thomas Jerome Newton interpreta­to da David Bowie), viene chiamato Calvin perché il bambino che lo trova addormenta­to sul prato vede che sui jeans ha un’etichetta con il nome di Calvin Klein («Tu ti chiami Calvin?» gli dice nell’edizione originale americana: nel doppiaggio italiano diventa Levis e viene addirittur­a cambiata l’etichetta sul fotogramma). Il film dà molta notorietà al marchio americano, tanto che «i Calvin» diventano i jeans del nuovo credo dell’abbigliame­nto e il designer Calvin Klein viene eletto a punto di riferiment­o di una nuova wave che richiede esplicitam­ente il matrimonio tra moda e sport. Per cui agli inizi del decennio 1980 nasce la linea Calvin Klein Sport. Così come anche l’Italia, che in quegli anni si propone all’avanguardi­a di una moda non paludata e senza le «pesantezze» della Couture francese, affianca al nascente fenomeno del prêt-à-porter le linee sportive.

Ovviamente è Giorgio Armani che, anche grazie alla sua intuizione che nel 1981 lo porta a creare Emporio Armani, è già pronto a scrivere la declinazio­ne

italiana del fenomeno. Non siamo ancora all’ingresso delle «fibre estensibil­i» nei regni degli uffici stile delle griffe, ma ci arriveremo presto. Emporio Armani sarà fiancheggi­ato subito dopo dalle seconde linee di Gianfranco Ferré: Oaks by Ferré e soprattutt­o Tyrannosau­rus Rex, un esperiment­o durato due stagioni che, però, è importante. Pensata solo al maschile, la linea declina tutto il senso degli sport estremi per cui il neoprene diventa la fibra per eccellenza che costruisce le grandi giacche imbottite, i pantaloni attillati da motocross, le canotte aderenti ai maglioni attaccati ai muscolosi pettorali e addominali. Nel 1996 l’esperienza si trasformer­à per dare vita a Gianfranco Ferré Sport e si legherà molto di più allo stile delle palestre. Come più tardi succederà anche a Emporio Armani che, nel 2004, si amplia con EA7, un nome un programma: l’Aquilotto, simbolo del marchio, omaggia il numero 7 che è quello sulla maglia del calciatore Andrij Schevchenk­o. Armani, quindi, compie il passo decisivo perché con questa etichetta sono prodotti soltanto i capi tecnici dell’abbigliame­nto sportivo. Lo fa anche Prada che, fin dal 1997, impiega il suo famoso nylon per raccontare la passione delle regate nella linea pensata ad hoc Luna Rossa (lo stesso nome della barca che partecipa all’America’s Cup), che poi diventerà Prada Sport mantenendo il nome dell’origine soltanto nel profumo. Il resto è storia dei nostri giorni e sappiamo che, da tempo, i confini sono definitiva­mente saltati: capi tecnici e giacche sartoriali costituisc­ono entrambi, da soli o abbinati, la divisa variabile dell’attualità.

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