«Combattimento» e fanatismo
DA QUANDO IDEOLOGIA E RELIGIONE hanno perso peso e legittimità fra noi occidentali, ci siamo quasi tutti consegnati a una nervosa immanenza. Vivere il meglio possibile la nostra vita è al centro dei nostri pensieri, preoccupazioni e speranze. Ci ingozziamo di regole, di prevenzioni, di diete per allontanare il più possibile la morte. Così teniamo a bada la paura, ma questa va ad annidarsi nell’imprevedibile, e l’imprevedibile è morire per terrorismo. Quello di questi anni. L’uomo nero che ti punta con un camion e ti accelera addosso, il ragazzo che si fa saltare in aria per farti saltare in aria, il militante dell’isis che entra mitragliando nei luoghi dove si compie la laica cerimonia dello svago.
La ragione sociale dei gruppi terroristi è seminare, per l’appunto, il terrore. E il terrore è diverso dalla paura. Non è negoziabile. Non c’è prevenzione possibile. Si può ragionare sugli obiettivi, ma non c’è certezza. I moderni terroristi sparano nel mucchio. E tutti, nel mucchio, siamo colpevoli essendo innocenti… Siamo colpevoli per assioma, come da intransigenza religiosa. Siamo infedeli. Quindi la nostra vita è sacrificabile. È una crudeltà morbosa e disattenta, quella dei terroristi islamici.
Non scelgono le loro vittime. Non hanno niente a che vedere con Prima Linea, con le Brigate Rosse, e neppure coi terroristi neri, che pure si resero colpevoli di stragi (bombe nelle stazioni, sui treni, ai comizi). Questi erano «combattenti», seppure per un’idea sbagliata e con metodi criminali. Quelli dell’isis sono dei fanatici. Il fanatismo è una degenerazione della religione, come l’estremismo è una degenerazione dell’ideologia, quindi della politica. La forza dei fanatici è nella loro capacità di non dare alla vita terrena alcun valore. A incominciare dalla propria. Per questo sono infinitamente più forti e più pericolosi degli estremisti violenti degli anni Settanta. Per un brigatista rosso morire era un rischio possibile, non un obiettivo metafisico. Appartenevano alla stessa famiglia umana delle loro vittime. E le sceglievano con cura. Colpirne uno per educarne cento, scrivevano nei loro proclami, deliranti eppure noiosi, contro le multinazionali. Erano i degenerati della politica: potevi giudicarli e punirli.
I degenerati della religione si situano, al contrario, in un al di là dove la punizione non ha più senso. Si realizzano nel suicidio e questo li rende più potenti di qualsiasi arma. Sono essi stessi l’arma. Bombe umane imbottite di odio. Di brigatisti ne ho conosciuti personalmente quattro o cinque, erano anche loro giovani, spesso un po’ stupidi, come chi è convinto, senza alcun ragionevole dubbio, di avere ragione. Non li ho mai giustificati, ma li ho capiti. Venivamo dallo stesso mondo. Avevo paura? Sì, di loro e per loro. Ma la paura siamo abituati a dominarla. Non così il panico. Panico è quello che proviamo oggi, vittime, come siamo potenzialmente tutti, di una persecuzione aliena.