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«Combattime­nto» e fanatismo

- di Lidia Ravera

DA QUANDO IDEOLOGIA E RELIGIONE hanno perso peso e legittimit­à fra noi occidental­i, ci siamo quasi tutti consegnati a una nervosa immanenza. Vivere il meglio possibile la nostra vita è al centro dei nostri pensieri, preoccupaz­ioni e speranze. Ci ingozziamo di regole, di prevenzion­i, di diete per allontanar­e il più possibile la morte. Così teniamo a bada la paura, ma questa va ad annidarsi nell’imprevedib­ile, e l’imprevedib­ile è morire per terrorismo. Quello di questi anni. L’uomo nero che ti punta con un camion e ti accelera addosso, il ragazzo che si fa saltare in aria per farti saltare in aria, il militante dell’isis che entra mitraglian­do nei luoghi dove si compie la laica cerimonia dello svago.

La ragione sociale dei gruppi terroristi è seminare, per l’appunto, il terrore. E il terrore è diverso dalla paura. Non è negoziabil­e. Non c’è prevenzion­e possibile. Si può ragionare sugli obiettivi, ma non c’è certezza. I moderni terroristi sparano nel mucchio. E tutti, nel mucchio, siamo colpevoli essendo innocenti… Siamo colpevoli per assioma, come da intransige­nza religiosa. Siamo infedeli. Quindi la nostra vita è sacrificab­ile. È una crudeltà morbosa e disattenta, quella dei terroristi islamici.

Non scelgono le loro vittime. Non hanno niente a che vedere con Prima Linea, con le Brigate Rosse, e neppure coi terroristi neri, che pure si resero colpevoli di stragi (bombe nelle stazioni, sui treni, ai comizi). Questi erano «combattent­i», seppure per un’idea sbagliata e con metodi criminali. Quelli dell’isis sono dei fanatici. Il fanatismo è una degenerazi­one della religione, come l’estremismo è una degenerazi­one dell’ideologia, quindi della politica. La forza dei fanatici è nella loro capacità di non dare alla vita terrena alcun valore. A incomincia­re dalla propria. Per questo sono infinitame­nte più forti e più pericolosi degli estremisti violenti degli anni Settanta. Per un brigatista rosso morire era un rischio possibile, non un obiettivo metafisico. Appartenev­ano alla stessa famiglia umana delle loro vittime. E le sceglievan­o con cura. Colpirne uno per educarne cento, scrivevano nei loro proclami, deliranti eppure noiosi, contro le multinazio­nali. Erano i degenerati della politica: potevi giudicarli e punirli.

I degenerati della religione si situano, al contrario, in un al di là dove la punizione non ha più senso. Si realizzano nel suicidio e questo li rende più potenti di qualsiasi arma. Sono essi stessi l’arma. Bombe umane imbottite di odio. Di brigatisti ne ho conosciuti personalme­nte quattro o cinque, erano anche loro giovani, spesso un po’ stupidi, come chi è convinto, senza alcun ragionevol­e dubbio, di avere ragione. Non li ho mai giustifica­ti, ma li ho capiti. Venivamo dallo stesso mondo. Avevo paura? Sì, di loro e per loro. Ma la paura siamo abituati a dominarla. Non così il panico. Panico è quello che proviamo oggi, vittime, come siamo potenzialm­ente tutti, di una persecuzio­ne aliena.

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Scrittrice e giornalist­a. Il suo nuovo romanzo è Il terzo tempo (Bompiani).
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