Paisley revolution
L’esposizione al Mudec non è soltanto la celebrazione dei 50 anni di Etro ma una riflessione sul ruolo della moda nel rinnovamento sociale.
DEV’ESSERE VERO che alla fine degli anni Sessanta c’era nell’aria qualcosa di strano, atipico e frizzante. Probabilmente, il pensiero e la fantasia volavano perché l’atmosfera era ricca di speranza, di progetti, di voglia di cambiamento che sfociavano nel fare e non nel rancore, nell’aprirsi e non nel rinchiudersi, nel confronto e non nel rifiuto. Evidentemente, in quegli anni immaginare un mondo in progresso e non in regresso ha consentito la nascita dell’espressione creativa di molti «agenti» che si sono trasformati in classe dirigente capace di costruire un futuro che, come si è visto dopo, comprendeva anche quei sistemi industriali che hanno prodotto lavoro e ricchezza e che si sono assunti perfino il ruolo di avvicinare l’italia alle culture internazionali, dando al Paese quell’apertura che neanche il ritorno della democrazia nel dopoguerra aveva prodotto. Sono gli anni in cui nasce quello che poi sarà conosciuto come «il miracolo del made in Italy» che più tardi porterà la moda e il design a essere i fari di un’italianità che annulla l’immaginario di «pizza e mandolino» e si scopre creativa. In quell’atmosfera di pensiero e baruffa, nel 1968 Girolamo «Gimmo» Etro fonda un’azienda di Alta Moda e prêt-à-porter con il nome di famiglia. All’epoca, un atto che il pensiero piccolo borghese legge addirittura come barricadero e rivoluzionario: una rottura con il sistema conservatore. Sembra ieri. E invece sono passati 50 anni. Gli stessi che fino al 14 ottobre vengono raccontati al Mudec di Milano con la mostra Generazione Paisley.
IL TITOLO RIPORTA immediatamente a un simbolo e fa, quindi, della celebrazione Etro il racconto di una società che si è voluta ottimista, propositiva, sognatrice, ricca d’immaginazione e di risultati. E che per Etro coincide con quel disegno decorativo chiamato Paisley (o Kashmir, come la regione indiana) che nasce nell’antica Mesopotamia
Quando Etro ha inserito il disegno nella collezione maschile, le stampe con il germoglio sono diventate un simbolo di rottura
e che rappresenta il germoglio della palma da dattero, l’albero della vita. «Non so quanto volontariamente, mio padre introduce il Paisley nelle collezioni maschili e questo diventa immediatamente motivo di contrasto con il pensiero borghese di quegli anni che lo mette in corrispondenza diretta con quella tensione sessantottina in costante fibrillazione» dice Kean Etro, il figlio-creativo che, oltre a disegnare le collezioni maschili (quelle per la Donna sono firmate dalla sorella Veronica) si assume il compito di dare a questa celebrazione familiare il tono di una riflessione generale sulla moda, sulla società odierna, sul senso e sul ruolo della bellezza. Il parallelo tra il disegno che alcuni ricordano solo sugli scialli delle dame nell’ottocento e il movimento hippy è immediato «e mio padre, che l’aveva stampato anche sulle cravatte, deve convincere per primi i suoi amici e poi i clienti ad abbandonare le righe e le tinte unite» ribadisce Kean che, così, sottolinea il valore di rottura di quell’inizio che negli anni è sfociato in un’impresa di successo internazionale con le collezioni di moda, con la Home Collection del 1985, con i profumi del 1989, con l’espansione commerciale in Europa e negli Usa negli anni Novanta e, infine, con il traguardo odierno nell’enorme spazio del mercato globale.
L’HEADLINE CHE HA GUIDATO l’allestimento della mostra, «Fedeli all’amore e alla bellezza», a questo punto ne rappresenta il progetto. «È come guardare il mondo Etro attraverso gli occhi di Alice nel
Paese delle Meraviglie, in una continua costruzione di wunderkammer attraverso cinque stanze del museo in cui prende corpo il racconto della bellezza, valore necessario nel mondo odierno, attraverso un’esperienza professionale raccolta in archivi immensi dove è evidente l’applicazione di uno studio costante» conclude Kean. Che sottolinea come questo «mondo fantastico» possa funzionare da antidoto a quelle riduzioni di civiltà che si notano nelle cronache quotidiane della società civile e della politica.