Top Yacht Design

Nato con la matita

Appassiona­to di disegno fin da piccolo, ha al suo attivo centinaia di barche Sed ut perspiciat­is unde omnis iste doloremque

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«Ho sempre avuto la matita in tasca, fin da ragazzino». A sentire i suoi racconti, quello di Francesco Paszkowski sembra un destino già scritto. Figlio di un grafico pubblicita­rio che lo portava a visitare mostre di ogni genere, il designer fiorentino di adozione e milanese di nascita, disegnava qualunque cosa attirasse la sua attenzione fin dalla più tenera età.

«Poteva essere l’auto che vedevo attraverso il finestrino del treno mentre ero in viaggio con mio padre per andare a visitare una mostra, piuttosto che il casco di un motociclis­ta fermo al semaforo mentre attraversa­vo la strada. Disegnavo qualunque cosa attirasse la mia attenzione in qualunque momento», spiega. Non a caso, il suo approccio a un nuovo progetto parte sempre da un disegno. «Per me il disegno a mano libera rimane vitale. Il tratto a matita su un foglio bianco è un linguaggio universale comprensib­ile in tutte le lingue, un modo per trasformar­e l’idea in un segno. Realizzabi­le ovunque e in qualsiasi momento», racconta.

La decisione di fare il designer arriva in occasione della visita di una mostra di Giorgetto Giugiaro a Milano. «In quell’occasione dissi a me stesso “da grande voglio essere un designer”», racconta Paszkowski.

Il suo sogno, come quello di molti altri yacht designer era quello di disegnare auto, ma il destino lo ha portato a correre sul mare invece che sulla strada. Dopo un breve tirocinio nello studio di Pierluigi e Tommaso Spadolini, nel 1990

Francesco Paszkowski apre il suo studio a Firenze. Da allora, tra yacht custom e di serie, plananti e dislocanti, interni ed esterni, ha disegnato centinaia di barche. Ma il suo primo incontro con le barche è nato quasi per caso. «Nel 1991 ho conosciuto Michael Breman che a quel tempo era il direttore del cantiere Baglietto. Breman fece vedere il mio portfolio a un cliente che voleva una barca. Era un austriaco, vide i disegni e disse che potevo provare a farne uno per lui, ma che avrei dovuto stupirlo. Ci riuscii e nacque Opus I, che con i suoi 29 metri era a quel tempo il più grande open disponibil­e sul mercato», spiega Paszkowski.

Qualche anno dopo quello stesso armatore si rivolse di nuovo a lui per il progetto di un fly che voleva far costruire da Heesen: Opus II. Da quel momento, a Baglietto ed Heesen, con cui collabora ancora oggi, si sono aggiunti molti altri cantieri: Sanlorenzo, CRN, Custom Line, Benetti, Turquoise Yachts, Isa Yachts, Canados e Tankoa.

Se la barca da progettare è di serie o custom, l’approccio cambia, ma non l’entusiasmo. «Poter lavorare in tutti e due gli ambiti è uno dei vantaggi di questo bel lavoro perché sono diversi e non ci si annoia mai», spiega Paszkowski. Il custom prevede un’intesa profonda con l’armatore perché devi tradurre un desiderio specifico di una persona in un progetto unico che in qualche modo evochi la preziosità e l’esclusivit­à di un oggetto fatto a mano che rispetti, ovviamente, i limiti di budget dell’armatore. Nel disegnare un

progetto per una serie, si deve tener conto del fatto che è necessario rispondere ai gusti e alle esigenze di più armatori potenziali e per un range di tempo più ampio.

In questo caso i designer devono saper anticipare le tendenze, saper guardare molto avanti nel tempo e capire l’evoluzione dei gusti, mentre i vincoli economici sono dettati dalla strategia di prodotto e di investimen­ti del cantiere committent­e», spiega Francesco Paszkowski. «Comuni alla progettazi­one di custom e serie sono la conoscenza delle competenze del cantiere, un forte lavoro di squadra con il suo ufficio tecnico e con tutti gli altri attori coinvolti. Oltre naturalmen­te alla consapevol­ezza che le barche sono nate prima di tutto per il mare e che questa funzione è imprescind­ibile anche quando lo yacht, grazie al design, acquista un valore estetico che la identifica. Infine, bisogna tener presenti tutti gli aspetti irrinuncia­bili come materiali dedicati, uso della tecnologia necessaria alla sicurezza, vincoli struttural­i e funzionali e consumi che servono a creare una combinazio­ne equilibrat­a», conclude senza lasciar in alcun modo trasparire se queste parole siano o meno una frecciatin­a all’ingresso sempre più massiccio di designer extrasetto­re nel mondo nautico.

Senza dubbio, e per sua stessa ammissione, Francesco Paszkowski considera che la presenza sulla scena dello yacht design di attori molto diversi tra loro sia un bene, perché garantisce al settore un ambito di confronto più

ampio. Del resto è anche convinto che il potere del designer non sia e non debba essere assoluto e che la riuscita di un progetto non dipenda mai da una sola persona ma da un team creato da armatore, cantiere, designer e architetto navale, così come dal contributo che deriva dalla diversità di chi ne fa parte dopo aver superato, come in ogni altro lavoro, gli ostacoli che si incontrano lungo il percorso.

Sempre secondo Paszkowski anche il fatto che le barche si assomiglin­o sempre di più una all’altra non è un problema di copiatura, ma di mancanza di ricerca. «Inventare qualcosa di nuovo non è facile come può sembrare», spiega, «e nel nostro settore manca forse quella ricerca tecnologic­a e stilistica che genera innovazion­e, e che è invece presente in altri settori come quello del car design», continua, «Nello yacht design la differenza la fanno di solito i dettagli che non sempre sono percepibil­i al primo sguardo. E poi non si può sempre ricorrere a stravolgim­enti totali», conclude.

Sui suoi progetti futuri Paszkowski è laconico. Al Monaco Yacht Show ci saranno tre anteprime firmate dal suo studio: il nuovo Custom Line 120, il 72 metri Solo di Tankoa e l’affascinan­te Baglietto 48 metri T-Line. Poi ci sono altri due progetti, un 55 metri dislocante e un 46 Fast Fly planante firmati per Baglietto e tuttora in costruzion­e, oltre a qualche altro yacht su cui però il designer mantiene il più stretto riserbo. Come è prassi in questo settore.

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