Alberghi e resort d’Italia La Penisola del tesoro
Vengono privilegiate le strutture nei grandi centri rispetto a quelle delle location balneari, perché presentano un ritorno dell’investimento più elevato
Il turismo è il petrolio d’Italia. Questo ritornello datato anni ‘90 dello scorso millennio torna prepotentemente d’attualità oggi, davanti alla scoperta che il successo del turismo nella Penisola non è solo una questione di arrivi e presenze, ma anche frutto dello sfruttamento di un bacino ‘fossile’ patrimonio del Paese, quello delle proprietà alberghiere. Uno scenario su cui TTG Italia fa il punto con due esperti del settore real estate, Gabetti property solutions e World Capital Real Estate Group.
Gli ultimi dati, firmati Gabetti property solutions, raccontano che gli investimenti nelle strutture alberghiere del Paese nel 2017 sono aumentati del 10,5 per cento, per 1 miliardo e 200 milioni, raddoppiando il volume in soli tre anni. Insomma, il turismo italiano fa gola anche come investimento negli asset turistico-alberghieri, con una serie di operazioni che hanno visto fondi tricolori e stranieri impegnati nella corsa ad accaparrarsi i diversi gioielli della ricettività.
Le operazioni che si ricordano sono numerose: dal passaggio del Tanka Village nel 2015 al fondo Antirion, all’acquisizione degli hotel Boscolo da parte di Varde, dall’operazione che ha visto nel 2017 Serenissima Sgr acquisire Nova Yardinia all’Excelsior Venezia, passato a London & Region Properties e Coima, gli ultimi anni sono costellati di passaggi di proprietà di pezzi più o meno pregiati del patrimonio turistico italiano.
E ancora, Cassa Depositi e Prestiti, investitore istituzionale ma pur sempre investitore, che conta partecipazioni nel Verdura Resort di Rocco Forte e nelle strutture Th Resorts.
Alla base di questa rinnovata vivacità, dice World Capital, la saturazione degli spazi di investimento turistico nelle grandi capitali europee, rispetto alle quali l’Italia rappresenta un mercato vergine e ancora ricco di occasioni.
Gli albergatori italiani, quindi, quella pletora di microproprietari (quasi 33mila alberghi a cui rispondono quasi 33mila proprietari) che costituisce la colonna portante del ricettivo della Penisola, sono seduti su una pentola d’oro, circondati da ricchi investitori pronti a pagare profumatamente per le loro strutture?
LAVERITÀ, VI SPIEGO, SUGLI HOTEL
“Non è proprio così” .A spegnere i facili entusiasmi è Claudio Santucci, responsabile Italia del settore Capital market di Gabetti Property Solutions. “La logica di un oggetto ricettivo - spiega - è che vale per quanto genera in termini di fatturato. Quindi, nel caso di un albergo o di un resort, il valore è creato dal dato di occupazione delle camere, sul quale influiscono e non poco i periodi di chiusura stagionale, dalla location, dal volume d’affari e anche dal rischio che l’investitore riconosce alla location”.
Che vuol dire, in soldoni, che gli alberghi sul mare e i resort aperti solo d’estate e lontani valgono assai meno di quelli in una città d’arte, che garantisce un business più continuativo. Salvo che non siano ‘pezzi’ di straordinario prestigio. Allora, le cose cambiano, tanto è vero che il prezzo dei resort si posiziona su una forbice molto ampia: “Il valore a camera oscilla in media dai 45mila ai 50mila euro, ma su alcuni pezzi si può passare a 120mila fino a 180mila euro a camera”.
Gli investitori internazionali, però, continuano a guardare con maggiore attenzione alle città. “Se è vero che gli investitori internazionali nel 2017 hanno rappresentato il 53 per cento del totale investito - spiega Santucci -, è altrettanto vero che la cosa più difficile è spiegare loro che esistono altre realtà in Italia al di fuori di Roma e Milano.Al di là di queste due città, per i player stranieri il mercato risulta troppo liquido, hanno la sensazione che non riuscirebbero a vendere in fretta quanto vorrebbero, e quindi rinunciano”. Tanto è vero che gli ultimi colpi di mercato, soprattutto per quanto riguarda i resort mare, sono tutti
“La logica di un oggetto ricettivo è che vale per quanto genera in termini di fatturato” CLAUDIO SANTUCCI resp. Italia Capital market Gabetti “La redditività di un asset di città è ben diversa da quella di un villaggio turistico” EMILIO VALDAMERI Head of hospitality World Capital
appannaggio di investitori domestici.“I passaggi di proprietà più eclatanti sono stati per mano di attori italiani, come Th Resorts e Valtur - ricorda Emilio Valdameri, head of hospitality di World Capital -, Bluserena o Nicolaus, che con l’acquisizione del Gabbiano di Marina di Pulsano ha aperto una nuova stagione nel’immobiliare”.
A complicare la ‘vendibilità’ del prodotto Italia in area più vasta, secondo Santucci, è la ben nota parcellizzazione dell’albergatoria tricolore.“Il tema non è solo la proprietà, che già è un ostacolo. La questione si complica se ci si mette dal punto di vista di un investitore istituzionale: quando una serie di oggetti sono allocati in un fondo immobiliare, devono potersi parlare fra loro, essere omogenei per gestione”. Ecco quindi che gli alberghi di famiglia, lungi dall’essere dei novelli pozzi di petrolio, rischiano di essere delle scatole senza valore.
Quello che vuole un player estero “è entrare in possesso di un oggetto che sia simile ovunque nel mondo, che abbia un gestore riconoscibile e un management riconoscibile a livello internazionale” conclude Santucci, che sottolinea anche un altro punto non trascurabile che rende il sistema alberghiero italiano un mercato potenzialmente forte ma fattivamente debole.“A livello italiano generale - dice senza mezzi termini -, soprattutto per quanto riguarda i resort in destinazioni turistiche, la qualità è scadente. È necessario lavorare sulle strutture per renderle più adeguate ai tempi e sul personale, da formare in maniera più professionale”.
Allora probabilmente sì, il turismo italiano potrebbe diventare petrolio.
FOCUS QUALITÀ SUGLI ASSET IMMOBILIARI
La qualità del prodotto presente sul mercato italiano è l’aspetto su cui punta il dito anche Valdameri di World Capital.“Il sentiment, a livello di imprenditori nazionali, è decisamente positivo, tant’è che il 62 per cento degli intervistati coinvolti per la realizzazione del I° Rapporto sul Sistema Immobiliare Turistico Italiano che si dice interessato ad aprire una nuova struttura ricettiva, è anche disponibile ad acquistare l’immobile o il ramo d’azienda”.
Su questo occorre però evidenziare alcuni limiti, legati appunto alla qualità del prodotto disponibile:“I grandi player esteri - sottolinea Valdameri - faticano a identificare il prodotto immobiliare turistico italiano come di elevata qualità e ci vorrebbe un grande sforzo da parte delle singole proprietà per riqualificare gli asset immobiliari”.
Un caso particolarmente evidente quando si parla di resort turistici, che riscuotono minor interesse da parte degli investitori di quanto non facciano, invece, gli alberghi.“La redditività che garantisce una struttura alberghiera di città e notevolmente diversa da quella generata da un villaggio turistico balneare, che lavora solo alcuni mesi all’anno” sottolinea Valdameri.
Ecco allora che la situazione favorevole in cui si trova il mercato italiano, che sta godendo in queste ultime stagioni di una domanda mai così forte dall’estero (per cause facilmente riconducibili alla crisi che altri competitor mediterranei, come il Nord Africa, stanno vivendo) “dovrebbe trasformarsi in un’opportunità di rilancio dell’intero prodotto turistico italiano, a partire proprio dagli immobili”. Chi si adegua, sottolinea il manager,“trova il suo spazio nel mercato, ma gli investimenti economici sono ingenti”. Sull’altro piatto della bilancia “il miglioramento del prodotto può portare anche all’allungamento della stagionalità e creare dunque un appeal per i player esteri”.
Particolarmente interessanti sono le potenzialità delle aree centrali e meridionali del Paese,“dove la possibilità di diversificazione del business sono più evidenti: un caso esemplificativo è quello del Verdura Resort di Sciacca, dove al di là del brand di lusso Rocco Forte che genera un circolo virtuoso, c’è stata la volontà di differenziare l’offerta ricettiva con il prodotto golfistico”.
SCENARIO DELL’OSPITALITÀ VERSO L’ALTO DI GAMMA
Rispetto all’evoluzione del panorama alberghiero, ampie sono le opportunità sul segmento di fascia alta. L’Italia è il mercato in cui, secondo Valdameri,“ci sono in assoluto più hotel di lusso”. Sono in tutto “4 o 5 i brand che giustificano un prezzo di vendita anche doppio rispetto agli altri, come Four Seasons,Armani, Belmond o Bulgari - rileva il manager - e l’Italia è una meta molto ambita dal turismo d’alta gamma, lo è da sempre”.
Milano,Venezia e Roma le destinazioni top nella Penisola, in quanto a città,“mentre sul fronte balneare la Costa Smeralda, Capri,Taormina e Positano sono le prime destinazioni scelte dai brand di alta gamma per i loro investimenti”. Eppure, oltre ai grandi marchi che scelgono l’Italia - e in arrivo ci saranno oltre a Belmond in Toscana,“anche Meliá e Aman che arriveranno al Sud Italia”, anticipa Valdameri - ci sono dei potenziali competitor che appartengono all’extralberghiero.
“Le ville private sul mare rappresentano una grande tradizione per l’Italia. Si tratta di una tipologia di hospitality più complessa dell’albergatoria normale - spiega il manager -, perché non offre servizi e i clienti, per ovviare, di solito si portano appresso anche la servitù”. E se cominciano ad emergere anche gli appartamenti di lusso in location balneari, che insidiano la domanda alberghiera,“c’è un potenziale legato all’outdoor che in Italia ancora non ha trovato spazio - spiega Valdameri -. Le esperienze all’aperto, con offerte ricettive esclusive in campi tendati, in altri mercati stanno prendendo piede rapidamente: con il nostro territorio si potrebbero offrire soggiorni unici nei rifugi alpini o in isole sperdute. È un mercato ancora aperto, inesplorato, ma la domanda non manca”.