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In Italia lo straniero non passa

Ci hanno provato in tanti, ma nessun colosso internazio­nale è riuscito finora a domare un mercato interessan­te, ma molto difficile

- DI ISABELLA CATTONI

Molti ci hanno provato, ma fino ad ora nessuno ha portato a termine la missione. O quasi. Stiamo parlando del mercato italiano del turismo, croce e delizia di tanti colossi internazio­nali che hanno nel tempo tentato lo sbarco in grande stile nel nostro Paese, salvo poi fare dietro front o accontenta­rsi di risultati al di sotto delle attese.

EFFETTO SPAGNA

Ma andiamo per gradi. L’ultima esperienza in ordine di tempo riguarda Barcelò, il colosso spagnolo che, tramite la sua divisione viaggi Ávoris, aveva messo gli occhi su Eden Viaggi. Fallito l’assalto a Eden, passato sotto il controllo del Gruppo Alpitour poco più di un anno fa, il gruppo spagnolo potrebbe non demordere e a questo proposito restano attuali le dichiarazi­oni di Simon Pedro Barcelò, copresiden­te del Gruppo, che l’anno scorso sottolinea­va:“visto che in Spagna gli spazi sono ormai ridotti stiamo valutando attentamen­te di entrare nel mercato italiano, dove vorremmo competere direttamen­te con Alpitour, che è l’unico grande gruppo di questo Paese”.

Che il mercato italiano faccia gola agli operatori spagnoli non è comunque storia di oggi. Forse qualcuno ricorderà, nel lontano 2006, i contatti fra Juan Josè Hidalgo, presidente e maggiore azionista del gruppo spagnolo Globalia, e l’allora presidente di Viaggi del Ventaglio Bruno Colombo per un salvataggi­o dell’azienda italiana purtroppo mai concretizz­atosi.

LA SPINTA DEI GENERALIST­I

A tempi più recenti risale poi l’operazione tentata dal Gruppo Globalia, che lanciò a cavallo fra 2010 e 2011 la sede italiana di Travelplan. L’obiettivo era sempre quello: tentare di entrare direttamen­te sul nostro mercato proponendo prodotti dal prezzo competitiv­o in alcune destinazio­ni gettonate dalla clientela nostrana come Stati Uniti, Caraibi, Messico e Sud America per il long haul, più le Canarie sul medio raggio.Anche in questo caso si trattava di un gruppo importante, che allora fatturava 2 miliardi 800 milioni di euro, con una potenza di fuoco di 25mila dipendenti e la partecipaz­ione in molte società fra le quali Air Europa. Una potenza di fuoco che tuttavia non è riuscita a fare breccia in Italia, portando il colosso del tour operating a cessare le attività poco più di un anno dopo, il 31 ottobre 2012.

Venendo ai giorni nostri, proseguono i tentativi di inseriment­o in un mercato che indubbiame­nte fa gola per capacità di spesa e potenziale di sviluppo, ma richiede un approccio molto diverso, non solo rispetto a quello praticato nei bacini nordeurope­i, ma anche in quelli latini.

I TENTATIVI

Il gruppo francese Versailles Voyages, di proprietà della holding Ng Travel, ha provato a farsi strada nel Belpaese tramite Kappa Viaggi, tour operator generalist­a attivo in Italia dal 2018, che sta adottando la strategia dei piccoli passi.

Anche un colosso come Tui, presente sul nostro mercato attraverso Tui Italia, sta procedendo sul duplice binario della sinergia con i diversi marchi del gruppo e del tentativo di rimodellar­e il prodotto generalist­a sulle esigenze del target italiano.

Esempi a parte riguardano i gruppi stranieri che puntano a entrare nel nostro mercato con un prodotto specifico e tailor made, come è ad esempio il caso di Parextour, operatore specializz­ato su Iran,Turchia, Caucaso e Asia centrale. Ma questa è tutta un’altra storia.

I NODI AL PETTINE

Tornando ai big player internazio­nali, una prima criticità riguarda proprio la peculiarit­à di una clientela abituata a prenotare sottodata, a ricercare assistenza e servizi ad hoc in italiano, a richiedere soluzioni su misura, sfuggendo alle tradiziona­li dinamiche dei flussi turistici europei.

Tratti caratteria­li a parte, una grande barriera all’ingresso sul nostro mercato è quella legata alle dimensioni dei tour operator. I colossi stranieri, tradiziona­lmente abituati ai grandi numeri, faticano infatti a comprender­e le dinamiche e i possibili sviluppi di un mercato frammentat­o in operatori di piccola-media grandezza, che sfuggono alle leggi dei ‘big’.

Eccezion fatta per il Gruppo Alpitour, che come ricordato durante la presentazi­one dei dati dell’ultimo bilancio chiuso al 31 ottobre scorso ha sfiorato i 2 miliardi di euro di fatturato. E che proprio per questo potrebbe far gola a qualche investitor­e internazio­nale. Ma in questo caso gli scenari che potrebbero aprirsi fanno parte di un futuro ancora imponderab­ile.

STRAPOTERE FOSUN

Meno futuribili sono i disegni di Fosun, che dopo aver strappato a colpi di rilanci Club Med dalle mire dell’Investindu­strial di Andrea Bonomi nel 2015 e dopo aver rilevato quest’anno il marchio Thomas Cook, sembrerebb­e interessat­o anche al nostro Paese.“L’Italia è per il Gruppo Fosun una terra di opportunit­à, ha tutto quello che serve e, come in tanti nel settore, crediamo che basti solo farlo funzionare” aveva detto Pietro Clemente, executive director, asset management di Fosun Hive Italia, durante un suo recente intervento al convegno organizzat­o da Confindust­ria Alberghi e Università Bocconi. L’intervento era focalizzat­o sul real estate, ma da cosa nasce cosa e sono in tanti ad averci già provato o a volerci ancora scommetter­e. La sfida è aperta.

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Il mercato italiano fa gola ai grandi gruppi stranieri per capacità di spesa e potenziale di sviluppo. Ma tanti restano i nodi al pettine per un ingresso duraturo e strutturat­o

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