Affiliazione sì o no? I dubbi del settore
L’indipendenza a ogni costo o l’affiliazione a una grande catena per beneficiare delle sue economie di scala? Sono state le case history degli imprenditori del ricettivo al centro di uno dei dibattiti che, all’interno dell’Albergatore Day, ha provato a scalfire la tradizionale diffidenza di un settore che, stando ai dati Horwath Htl del 2018, vede solo il 4,8 per cento degli hotel italiani far parte di una catena.
Cambio di passo
Qualcosa, però, sta cambiando. E sono molti a sostenere che collaborare con un brand affermato consente di estendere le opportunità di vendita, ottimizzare la gestione dei costi e, in ultima analisi, migliorare il conto economico. “Spesso - ha sostenuto Walter Pecoraro, ceo G&W Hotels - la brandizzazione rappresenta l’unico modo per elevare la qualità e sfuggire alla guerra al ribasso imposta dalle Ota. In più le grandi catene hanno la capacità di fare sistema e di prevedere problemi che l’albergatore si troverà prima o poi ad affrontare”. La stipula del contratto, di management o di affiliazione, è poi il momento in cui, ha indicato Carlo Acampora, chairman & ceo Grand Hotel Via Veneto, “si possono chiedere alla controparte maggiori garanzie, anche quella di scrivere nero su bianco i risultati minimi portati dal brand”. Prima di scegliere il marchio più adatto alle corde della propria struttura, secondo Harry Charles Mills Sciò, founder di Fortvny-Hospitality Consulting, “è bene verificare quanti clienti una determinata catena manda agli hotel in Europa e in Italia, confrontarsi con altri affiliati e capire se hanno un programma di fidelizzazione”. Uno strumento, ha aggiunto, “fondamentale per accedere a bacini a cui è impossibile arrivare solo con le proprie forze”.