ABBIAMO PRESO CASA ACCANTO A SANDRA BULLOCK
RICKY MARTIN HA FATTO SCATENARE LA PLATEA DI SANREMO: A 45 ANNI, È PIÙ IN FORMA CHE MAI. MERITO DELLA MUSICA CHE «È STIMOLO E TERAPIA» E DI QUELLE «DUE VITE PIÙ IMPORTANTI» CHE GLI HANNO FATTO VENIR VOGLIA DI FERMARSI A L.A.
Al primo piano dell’Hotel Royal di Sanremo, Ricky Martin - in jeans e golfino di cachemire scuro - parla al telefono, mentre il suo assistente e due discografici mettono a punto sullo schermo di un cellulare i dettagli del ritorno all’Ariston del “muchacho del Caribe”.Ancora qualche ora e il cantante portoricano tornerà a imporre la sua legge dell’anca al popolo del Festival, dove farà registrare il picco d’ascolto della prima puntata: barba perfetta, capelli corvini e muscoli possenti, si scatenerà cantando le sue hit più famose, da Maria (che l’ha reso una star nel 1996) a Livin’
la vida loca (che nel 1999 è rimasta per 5 settimane al primo posto nella Billboard Hot 100). 45 anni portati alla grandissima, Ricky si prepara a replicare il successone sanremese a LasVegas con lo show Vegas Residency. Dal 5 aprile, infatti, il Park Theater del Montecarlo Resort and Casinò diventa la sua “residenza” e fino a settembre chi vorrà assaporare con lui un po’ di vida loca o farsi trascinare live dal reggaeton di Vente pa’ca (l’ultimo singolo con l’astro colombiano Maluma), potrà farlo solo lì. Si era già esibito all’Ariston, nel 1986: cantava Baci al cioccolato coi Menudo... «Sì, avevo solo 12 anni... Ma a essere sinceri, ancora oggi mi sento un po’ 12enne: non vorrei mai perdere di vista il bambino che è in me».
Negli ultimi anni ha fatto il giudice in due talent, La Voz... México e La Banda, insieme a Laura Pausini. Ha cantato Non siamo soli con Eros Ramazzotti, e ora pure Sanremo. Cosa rappresenta per lei la canzone italiana? «Icone come Mina e Laura ricordano a tutti che in Italia c’è una bella parte della storia della musica. E non è un caso, forse, che alcuni dei miei
brani più belli come Vuelve li abbia scritti proprio un italiano, Franco De Vita». Fa musica, tv e scrive libri: non teme di confondere il pubblico? «Nell’epoca dei social media non c’è linea di demarcazione tra un’attività e l’altra. E poi, quando uso la tv per aiutare i ragazzi dei talent a esprimersi sul palco, sento di dare indietro un po’ della fortuna che mi ha regalato il destino». È stato in tournée per tre anni: Las Vegas è forse l’approdo ideale... «Oltre a esibirmi al ParkTheater potrò passare in studio di registrazione tutto il tempo che vorrò, senza fermare quel processo creativo che per me è stimolo e terapia, perché sa togliermi rabbia e insicurezze». A 45 anni, se lo merita. «Già, voglio godermi un po’ di quella felicità che mi sono conquistato passo dopo passo. Da ragazzo l’ossessione di piacere si era trasformata in una specie di dipendenza, mentre ora che in famiglia ci sono due vite più importanti della mia (i figli gemelli Valentino e Matteo, nati da una madre surrogata nell’agosto 2008, ndr), guardo il mondo con altri occhi». Per parecchio tempo il suo è stato un “corazòn espinado”; poi, nel 2010, si è liberato del peso con l’autobiografia
Me e adesso vive una nuova vita. «C’è gente che fa pace con la propria sessualità a 16 anni e la invidio, c’è chi lo fa a 50 o a 70 e ne sono felice. Ma c’è chi muore senza riuscire ad ammetterlo e questa è una tragedia. Sono orgoglioso del fatto che quel mio libro abbia spinto tanti ragazzi ad accettarsi». Come si è tirato fuori da certi labirinti? «Sono diventato padre, ho scritto, ho cercato di allargare i miei orizzonti. In questo momento mi trovo in un luogo confortevole, senza l’ossessione di dover dimostrare ancora qualcosa a qualcuno. Desidero che la musica non mi rappresenti più per quello che vorrei essere, ma per quello che sono veramente. Niente strategie». Viaggia da un continente all’altro senza sosta. «Oltre alle tournée, ci sono le attività della Ricky Martin Foundation, che mi portano con una certa frequenza nelle zone calde del mondo. Solo qualche mese fa, per esempio, ero al confine tra Siria e Libano per dare un aiuto ai rifugiati insieme all’Unicef. Alcuni anni fa ero nell’India del Nord quando è divampato il conflitto in Kashmir, l’ambasciata mi ha chiamato al telefono per invitarmi a lasciare immediatamente quell’area. Da più di trent’anni, viaggiare e conoscere il mondo è la mia grande passione. I miei due figli stanno crescendo proprio come me, così quando ci fermiamo per un po’ di tempo in un posto sono i primi a dirmi: papà, non è ora di ripartire?». A proposito, che rapporto ha coi gemelli? «Li porto sempre con me. Però è arrivato il momento di fermarci. Per questo, con il mio compagno Jwan (l’artista siriano JwanYosef, ndr), ho appena preso una villa a Los Angeles, vicino a quella di Sandra Bullock. Lui ama quella casa e io pure, ma soprattutto piace a Matteo e a Valentino, che hanno otto anni e devono mettere radici da qualche parte». Da dodici anni incide album solo in spagnolo. Perché? «Da tempo sto attraversando una fase della vita in cui ho bisogno di restare in contatto con la musica delle mie origini, di ritrovare la semplicità di quando ho iniziato a Portorico. È lì che torno, come fosse una medicina, nei momenti di difficoltà; quando sono stanco, affranto o confuso e devo ricordarmi cosa volevo veramente da questo mestiere».
Da quando sono papà guardo il mondo con occhi diversi: piacere a tutti non mi interessa più