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Sidney Poitier

- Carmen Scotti

Primo uomo di colore a vincere l’Oscar come attore protagonis­ta. No, non è un sogno, anche se quelli che manifestan­o fuori da questo hotel (il Beverly Hilton Hotel a Hollywood, ndr) vorrebbero che lo fosse. «Un negro che scende da una limousine, ma dove siamo arrivati?». Figuriamoc­i se si presenta tutto in ghingheri con un autista che gli apre la portiera... «Qui non puoi entrare! Qui non ti puoi sedere! A quella fontana non ci puoi bere!»: così mi accolsero gli Stati Uniti quando, a 15 anni, lasciai le Bahamas, e non ero affatto preparato. Dov’ero cresciuto io, nessuno mi aveva insegnato che bianco significav­a potere, ed era una lezione che non avevo intenzione di imparare. Con soli tre dollari in tasca e un sogno in testa, recitare, mi adattai a fare i lavori più umili, dormendo persino nelle stazioni degli autobus, fino a quando lessi la notizia che avrebbe cambiato la mia vita.

NON ACCETTO RUOLI UMILIANTI

“L’American Negro Theater cerca attori” recitava l’annuncio di un teatro di Harlem, ma quando mi presentai alle audizioni con il mio accento caraibico, il regista andò su tutte le furie. «Con quella dizione puoi solo fare il lavapiatti!» mi urlò, «torna quando avrai imparato a parlare». Passai i mesi successivi ad ascoltare tutte le trasmissio­ni radiofonic­he per migliorare il mio accento, fino a quando superai il provino. Le parti per gli attori di colore? Personaggi stereotipa­ti, sottomessi all’uomo bianco, e che mi sono sempre rifiutato di interpreta­re. Per pagare le bollette arrivai a vendere i mobili di casa mia piuttosto che accettare un ruolo umiliante, benché pagato a peso d’oro. Mille volte mi hanno deriso chiamandom­i zio Tom, ma io ho sempre attraversa­to la vita a testa alta, convinto che non esistano colori, ma solo persone. E forse i tempi stanno davvero cambiando, se l’America bianca è pronta ad applaudire un afroameric­ano in smoking che stringe la statuetta degli Oscar.

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