Andy Warhol
Mi piace circondarmi di ragazze un po’ folli che arrivano da me come gattini randagi. Lei, per esempio, è Ultra
(nella foto, Isabelle Collin Dufresne, artista, attrice e scrittrice francese, costretta dalla famiglia a un esorcismo a 15 anni e poi finita in un carcere minorile, ndr), la mia “ragazza” del momento, protagonista di alcuni miei film, una delle creature perdute che accolgo alla Factory, lo studio dove creo le mie opere e nelle quali mi piace vedermi riflesso. Oggi le celebrità pagherebbero oro per farsi immortalare da me, ma anch’io sono stato un emarginato, deriso e bollato come il peggiore dei cialtroni quando organizzai le prime mostre. «Un supremo spacciatore di trovate pubblicitarie» mi definì il Time, seguito da epiteti di ogni sorta: «Stravagante checca proletaria», «il nulla in persona», «clown dei potenti».
HO FATTO DI ME UN’OPERA D’ARTE
Truman Capote dichiarò che per lui ero solo un decoratore di vetrine, e allora, visto che di pubblicità mi ero occupato fino a quel momento, tanto valeva portarla nei musei! Una mattina comprai tutte le varietà di zuppa Campbell e cominciai a dipingere le lattine, per passare alla Coca Cola, al simbolo del dollaro, ai corn flakes, immagini ripetute all’infinito e svuotate così del romanticismo della creazione. Io stesso ho fatto di me un’opera d’arte, con il mio look da dandy, i movimenti da piccolo ballerino, i monosillabi biascicati e il mio sbrindellato harem di ragazze e ragazzi sexy con cui vado in giro; un’azienda si è addirittura detta interessata ad acquistare la mia “aura” (se solo sapessi cos’è) offrendomi un mucchio di quattrini. Nessuno oggi fa più del sarcasmo sul “Peter Pan dell’arte”, perché sono io il primo a ridere di me, a sottrarmi a qualunque tentativo di catalogazione. E poi, perché sprecare fiato per la mia arte?Tanto la mia opera si consumerà in fretta, come una banconota da un dollaro o una zuppa in scatola.