Antonio De Curtis
Ppremiorima lei, signorina, che io davanti a un décolleté così ho le scalmane, sento quasi le campane diWist e Minster!» dico a Gina Lollobrigida che mi ha appena consegnato un
e il pubblico si sganascia, mi acclama, chiede altre quisquilie e pinzillacchere. In tante famiglie c’è chi nasce gobbo e chi storto, io sono nato comico, con questa faccia terremotata, il mento a “scùcchia” e la mascella deragliata. E poi, povero com’ero, che altro potevo fare se non ridere di tutto e di tutti per dimenticare la fame che mi mangiava le ossa? Cresciuto in un “basso” maleodorante del rione Sanità, con un marchese decaduto come padre e una 16enne manesca come madre, passavo le giornate a osservare di nascosto i passanti, tanto che per la gente del quartiere ero diventato “‘O spione”. La scuola la lasciai presto per inseguire il sogno di teatrante, affrontando peste e corna da parte della mia famiglia, che piuttosto che attore avrebbe preferito mi facessi prete.
COSÌ INVENTAI LA MASCHERA DI TOTÒ
Con questa faccia triste ho battuto tutti i teatruncoli di provincia portando in scena la comicità e il dramma, la fame e il freddo, perché non si può essere un attore comico senza aver fatto prima la guerra con la vita. Poi una sera entrai in scena con una bombetta polverosa in testa e la platea esplose in un boato. Fu così che nacque la maschera di Totò. «Vieni con me che andiamo a fare la fame insieme!» mi disse, e da allora non ci siamo più lasciati. Ci sono giorni che lo strozzerei per quanto è aggressivo, ipocrita, cocciuto, insinuante come una mosca cavallina: tutto il contrario del principe De Curtis, così elegante e compassato, eppure gli sono grato, e non potrei mai fare a meno di quel villano senza creanza. È un buffone serissimo Totò, un pagliaccio dalla faccia triste che maschera la ragione con la follia e il comico con il tragico, per farvi ridere e piangere. Del resto, cos’è una lacrima se non l’altra faccia del sorriso?