ADESSO VOGLIO UN FIGLIO. ANZI, TRE
TORNA IN TV PER INTERPRETARE UN PADREPADRONE CON LE RADICI AL NORD, COME LUI. CHE È BERGAMASCO E TESTARDO, MA HA IL CUORE A SUD. E VUOLE UNA CASA PIENA DI AMICI E PARENTI
Questa è un’intervista con vista (sul lago d’Iseo). E con la mamma dell’attore, la signora Roberta, che offre il caffé. Alessio Boni è di passaggio a casa dai suoi genitori, in provincia di Bergamo, vicino al suo paese natale. Ha lasciato il set, in Trentino-Alto Adige, del suo prossimo film (La ragazza nella nebbia dello scrittore e regista Donato Carrisi) ed è diretto inToscana per chiudere la sua tournée teatrale (I duellanti di Joseph Conrad). È buffo veder chiacchierare madre e figlio in cucina. Lui in jeans, lei in tuta rosa. «È venuta la Fernanda? E la Rosalba?» chiede Alessio. E spiega: «Mamma è riservatissima, ma è diventata grande amica di due mie fan. Una di loro ha scritto e, un giorno, è arrivata qui. Poi è tornata per lei, non per me». Di sicuro, però, correrà ad accendere la tv il 18 aprile, quando va in onda Di padre in figlia, serie di Raiuno che racconta, in quattro puntate, trent’anni di storia italiana attraverso le vicende di una famiglia patriarcale veneta.Alessio Boni interpreta Giovanni Franza, un uomo duro, che ha lavorato nei campi e vuole aprire una distilleria. Uno che tratta la moglie come una serva, o quasi, e il figlio maschio come l’erede preferito di gran lunga alle femmine. Cristina Comencini, autrice del soggetto, vede nei loro conflitti familiari il percorso delle conquiste femminili di questi decenni.
Che effetto le ha fatto interpretare un padre-padrone degli anni 50?
«È stato come fare un viaggio nelle mie stesse radici. Quanti italiani avevano quella mentalità? Era normale, allora. Mio nonno era così, diceva alla nonna: “Tasi tu che sei una femmina!” (e fa la parlata bergamasca, ndr). Se mio papà è stato diverso, in casa, è solo perché ha sposato una che non si fa schiacciare. Io poi, altra generazione, amo le donne dalla personalità forte. La mia compagna ha il suo bel caratterino...».
In passato ha parlato spesso del suo desiderio di paternità. Ci ha rinunciato?
«Tutt’altro. Vorrei un figlio da almeno dieci anni, ma sono successe tante cose, sono
rimasto single per un po’. Ora che ho una compagna, da circa un anno, ci penso eccome. E non ne vorrei uno, ma tre. E ora che ho 50 anni, so che me li godrei anche più che a 30. Sono meno concentrato sul lavoro, non devo dimostrare più niente a nessuno».
Come ha vissuto l’arrivo dei 50 anni?
«Come una festa in tutti i sensi, bellissima. Li ho compiuti il 4 luglio e proprio il 3 mi hanno consegnato il premio Ennio Flaiano per il teatro, per
I duellanti di cui sono anche regista. Doppio regalo. La sera della cerimonia abbiamo fatto una tavolata di amici, parenti e colleghi, tutti in riva al mare ad aspettare la mezzanotte per il brindisi, a bere e scherzare. Adoro stare in mezzo alla gente: in questo mi sento più meridionale che bergamasco».
Per questo è fuggito dalla provincia, a vent’anni?
«Volevo andarmene già a 16. Mi pesava tutto: la mentalità chiusa, l’idea che nella vita devi soprattutto fare soldi, il negozio di piastrelle dei miei. Da ragazzo, però, non avevo l’ambizione di recitare. Sono entrato in polizia».
Perché mai si immaginava poliziotto?
«Mi vedevo un po’ come Serpico, vai a sapere perché.A quell’età non capisci chi sei, cosa vuoi. Mi sono messo alla prova ma dopo un anno ho mollato, perché mica ci stavo dentro. Con i risparmi, 12 milioni di lire, me ne sono andato in California pensando di avviare un import-export di vini».
E poi cos’è successo?
«Ho fatto tutt’altro: il baby sitter, il garzone che consegna i giornali all’alba, porta a porta. Ci andavo dritto dopo la discoteca. Per sbrigarmi, li legavo con l’elastico e li lanciavo dal motorino. Una volta ho dovuto pure ripagare una finestra che ho rotto così. Dopo un po’ di mesi sono tornato in Italia e ho fatto l’animatore nei villaggi. Ed è tra un gioco-aperitivo e l’altro che ho iniziato a divertirmi sul palco. Erano spettacolini senza pretese, però mi piaceva farli. Ho cominciato ad andare a teatro, quello vero. Una folgorazione. E siccome sono bergamasco e testardo, ho puntato all’Accademia d’arte drammatica di Roma, il meglio».
Curriculum anomalo, il suo: esiste un filo rosso tra il lavoro di piastrellista, il gioco-aperitivo e Shakespeare?
«Roberto Benigni, vincendo l’Oscar, ha detto:“Ringrazio i miei per avermi fatto conoscere la povertà”. Potrei dire lo stesso. Se vieni da una famiglia come la mia, ti porti dietro e addosso l’umiltà».
È così importante per un attore?
«Eccome. Perché non mi sono mai sentito all’altezza dei miei personaggi. Come fai a interpretare un genio come
Caravaggio (miniserie Rai del 2008, ndr)? A diventare il principe Andrej, creato daTolstoj, e per giunta recitare in inglese, perché Guerra e pace era una produzione internazionale? L’umiltà ti fa studiare sodo, ti spinge a dare il massimo».
Non è mai stato preso dall’ansia?
«Ha sempre prevalso la passione. E poi sono uno che si butta. Mi concentro su una cosa alla volta, come quando lavoravo per i miei: una piastrella dopo l’altra, finché vedi il pavimento finito. Se pensi che devi piastrellare tutta una casa, per forza ti viene il panico».
La bellezza è stata un vantaggio?
«Io non ci ho mai pensato, se l’hanno fatto gli altri non mi interessa. Dopo La
meglio gioventù - il film di MarcoTullio Giordana che lo ha lanciato nel 2003,
ndr - mi hanno offerto di posare per un calendario. Ho detto no anche se mi avrebbe permesso di comprare una casa in piazza Navona. Io faccio quello in cui credo, non inseguo il successo».
Però ha fatto cinema, teatro, tv... Qualcosa che le manca e che ancora desidera?
«Diventare regista: ho una storia nel cassetto, scritta con Massimo Carlotto. Ma soprattutto voglio crescere come persona. Il mio motto è: fra tre ore voglio essere meglio di adesso».
E come si migliora da un’ora all’altra?
«Parlando con la gente. Con chiunque, anche per strada. Se vedo uno che pota un albero, e la cosa mi incuriosisce, mi fermo e gli chiedo come si fa».
Ho fatto il piastrellista, il poliziotto, il baby sitter, l’animatore nei villaggi turistici... Chi nasce in una famiglia come la mia, si porta dietro l’umiltà