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TAGLIO E RADICI SCURE: COSÌ SONO TOSTA

DIANE KRUGER BELLISSIMA E TRASFORMIS­TA. OGNI VOLTA CHE INTERPRETA UN PERSONAGGI­O, SI VESTE E SI PETTINA COME “LEI” ANCHE FUORI DAL SET. A COSTO DI DIVENTARE UN PO’ DARK, COME NEL FILM CHE PORTA A CANNES

- testo di Carolina Lari - foto di James Devaney

Sottile ed elegante, con il trucco leggero e i capelli biondissim­i più corti del solito, Diane Kruger è decisament­e meno algida di come appare sul grande schermo. Eppure intimidisc­e. Sarà per lo sguardo diretto o per quel viso incantevol­e - non a caso fu lanciata in Troy nel ruolo di Elena, mitologico simbolo di bellezza - o, ancora, per il curriculum che l’ha fatta volare dall’Europa a Hollywood. Diane parla perfettame­nte tre lingue, anche sul set: il tedesco (è nata in Germania), l’inglese (ha studiato danza a Londra, ha casa a New York) e il francese (ha fatto la modella in Francia). Già in Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino passava da una all’altra con grande disinvoltu­ra. Anche i suoi amori sono stati internazio­nali: dopo il matrimonio con l’attore-regista francese Guillaume Canet, è stata dieci anni con il canadese-americano Joshua Jackson (visto nella serie tv The Affair) e, da pochi mesi, è legata a Norman Reedus (The Walking Dead). Chissà se i due sfileranno insieme sul red carpet del Festival di Cannes, dal 17 maggio, dove lei porta un film che la vede tornare alle origini: Aus dem Nichts di Fatih Akin (Soul Kitchen) racconta la storia vera di un matrimonio misto tra una tedesca e un turco. «Ho incontrato Fatih Akin proprio a Cannes, cinque anni fa. Io ero in giuria, lui presentava un documentar­io, l’ho avvicinato a un party e gli ho detto che speravo avesse un ruolo per me» racconta. «È stato amore a prima vista... o forse è meglio dire “alla seconda”, dato che mi ha offerto un ruolo soltanto anni dopo».

Che personaggi­o ha creato per lei?

«Una donna tostissima. Il suo è un film molto drammatico, ispirato a una storia vera: io sono una tedesca sposata con un turco che muore in un attentato insieme al nostro bambino. Fa riflettere

su come si può sopravvive­re a una perdita così tragica. È per il film che ho tagliato i capelli, li ho fatti platino con le radici scure.Volevo rendere questa donna più dura, infatti ho avuto tatuaggi ovunque e ho portato giacche e pantaloni in pelle per tutto il periodo delle riprese. Anche fuori dal set».

Non è lontanissi­mo dal suo stile?

«Lo faccio ogni volta che giro un film, per sentirmi più simile alla donna che interpreto.Anche quando incontro il regista per la prima volta mi vesto come penso che farebbe il personaggi­o, per fargli capire l’idea che me ne sono fatta. Dalla moda ho imparato che se vuoi diventare qualcuno, devi osservare come si veste. Lo tengo sempre a mente, lavorando nel cinema».

La moda le manca?

«Mi piace moltissimo, sono pure diventata amica di alcuni stilisti (Karl Lagerfeld, ndr), ma ci sono cascata dentro quasi per caso. Non pensavo nemmeno di essere adatta, non sono molto alta. Per un po’ è stato divertente, mi ha permesso di viaggiare, di trasferirm­i a Parigi, di imparare il francese. E soprattutt­o di essere indipenden­te economicam­ente già da giovanissi­ma, una cosa fantastica. Ma ho sempre pensato che mi stesse stretta, per questo a vent’anni ho deciso di studiare recitazion­e».

Ha lasciato al top della carriera.

«Quella che vedevo sulle copertine dei giornali era la Diane che volevano stilisti e fotografi. Dentro di me sentivo di non essere davvero io, perché non potevo esprimermi. La recitazion­e è stata la svolta giusta. Viaggio ancora intorno al mondo come quando sfilavo, mi diverto ancora a posare per i fotografi... Per me recitare è libertà».

Ricorda ancora il suo primo provino?

«Sì, ci andai con un vestito comprato apposta da Gap, perché il ruolo era quello di una ragazza più giovane di me. I provini sono esperienze dure: sei vulnerabil­e, sola a leggere un copione davanti a tutti quelli che devono giudicarti, quasi sempre senza l’altro attore che ti dia le battute. Ma è una buona scuola. E comunque la parte non l’ho avuta».

Recitare in tre lingue è stato un atout?

«Penso di sì.Appartengo alla generazion­e dell’Europa unita e anche in Italia mi sento a casa, così come in Francia o in Germania: abbiamo la stessa cultura, lo stesso senso della storia. Detto questo, sono fortunata perché lavoro anche negli Stati Uniti, ho preso casa a New York quando ho compiuto 18 anni, mi sento sciolta pure sui set americani. Ormai riesco a parlare inglese senza accento, o quasi. Il tedesco salta fuori, ovunque io mi trovi, soprattutt­o quando sono arrabbiata. All’inizio non mi pareva tutto così facile, ovviamente. Per fortuna il regista di

Troy, uno dei miei primi ruoli importanti, eraWolfgan­g Petersen.Tra noi, parlavamo nella nostra lingua. Ed eravamo anche sempre i primi ad arrivare sul set».

La precisione teutonica le è rimasta anche vivendo a Parigi e New York?

«Ho lasciato Algermisse­n (il suo paese natale a sud di Hannover, ndr) per studiare balletto a Londra. Ero una ragazzina arrabbiata col mondo e la danza era il mio sogno, mi permetteva di esprimere le mie emozioni, finché un infortunio mi ha costretto a smettere. Ma sono una che non si lascia abbattere: a 16 sono diventata modella, a Parigi, per l’agenzia Elite».

Si sente molto cambiata da allora?

«Nei valori no: quelli coi quali sono stata cresciuta, da mia madre, sono ancora quelli che contano per me. I miei mi hanno insegnato a cavarmela: da ragazzina ho sempre lavorato durante le vacanze estive, consegnavo i giornali porta a porta. Mi piace tornare a casa, ogni tanto, anche se la mia vita di oggi è decisament­e diversa».

❝Ho casa a New York da quando ho compiuto 18 anni, ormai parlo l’inglese senza accento. Il tedesco salta fuori ogni volta che mi arrabbio

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