Gianni Boncompagni
Serata speciale qui a La Bussola di Viareggio: fra un po’ Marlene Dietrich si esibirà, e meno male che non l’hanno invitata in Rai, altrimenti avrebbero trovato il modo di bacchettarla, magari per il vestito aderente o uno sguardo un po’ troppo ammiccante. Se dovessi contare tutte le volte che hanno cercato di censurare le mie idee, non mi basterebbero le dita di entrambe le mani: l’ultima volta è stata con il TucaTuca (scritto da Boncompagni e Franco Pisano, ndr) lanciato da Raffaella Carrà a Canzonissima (nel 1971, ndr).Temendo che le inquadrature fisse inducessero i telespettatori a pensare che Enzo PaoloTurchi (che con lei eseguiva il balletto, ndr), anziché sfiorarle i fianchi, le toccasse parti “innominabili”, obbligarono lui e Raffaella a ballare girati di tre quarti, in una posizione a dir poco acrobatica. Mi ci è voluto del tempo per fare il callo a tutto questo, soprattutto dopo i dieci anni trascorsi in Svezia! Ci ero arrivato in autostop dopo il liceo, e quando tornai a Roma avevo tre figlie da mantenere (ottenne la patria potestà dalla moglie svedese, ndr)e tanta voglia di mettermi in gioco.
MUSICA, RISATE E TORMENTONI
A svecchiare una Rai bacchettona che ancora imponeva i collant coprenti alle gemelle Kessler, ci pensammo io e Renzo Arbore, i Giamburrasca della radio italiana. Con
Bandiera gialla (1965) mandammo a gambe all’aria la liturgia radiofonica lanciando la musica beat e portando i capelloni in Italia, poi fu la volta di Alto Gradimento (1970), la nostra sfida più grande. Nella prima puntata lessi l’elenco di parole “sconsigliate” dalla Rai: “sudore, peli, inguine, amante, ernia, piedi, divorzio, membro”. Pensavo mi avrebbero cacciato e invece mi lasciarono fare e così, su un Belpaese ancora ingessato, piombarono una pioggia di tormentoni, battute non-sense, improvvisazioni e personaggi indimenticabili. Cosa farò in futuro? Quello che mi riesce meglio: ridere e far ridere rimanendo me stesso, un iconoclasta un po’ pigro e fortunatissimo.