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Malina protesta con la street art

DAI MURI DI KANDAHAR ALLA BIENNALE DI VENEZIA, L’ARTISTA MALINA SULIMAN PORTA AVANTI LA SUA LOTTA PER I DIRITTI DELLE DONNE AFGHANE di Federica Presutto

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SSotto il burqa, uno scheletro. È uno dei murale che Malina Suliman, nata 27 anni fa a Kandahar, ha lasciato nella sua città. Una denuncia sulla condizione della donna in Afghanista­n che le ha creato non pochi problemi: quando la vedevano dipingere i suoi graffiti, i vicini la insultavan­o e le tiravano pietre. «Ma io ho scelto la street art proprio perché la possono vedere tutti» rivendica Malina «e tutti la possono comprender­e, anche chi non sa leggere». Dalla caduta del regime talebano nel 2001, l’arte non è più fuorilegge nel Paese. Ma essere un’artista, per di più donna, è ancora inconcepib­ile. «Quando ho esposto per la prima volta i miei lavori» ricorda «a visitare la mostra c’era una sola donna: io». Malgrado questo - o proprio per questo motivo - Suliman era determinat­a a cambiare le cose senza lasciare il suo Paese: così ha fondato il collettivo di artisti Kandahar Fine Arts Associatio­n. Le continue minacce di morte, però, l’hanno costretta all’esilio. Dal 2013 vive a Eindhoven, in Olanda, ma continua a lottare per le donne afghane attraverso la sua arte. Dopo una mostra a Londra sul burqa, fino al 15 luglio è alla Biennale di Venezia con il collettivo di artisti Nsk (nsk-state-pavilion.org) che ha realizzato un’installazi­one multimedia­le sui temi della migrazione e dell’identità. Intanto, mentre le sue opere vanno in giro per il mondo, i suoi graffiti continuano a parlare dai muri di Kandahar.

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Malina Suliman (27 anni), il 30 dicembre 2012 a Kandahar con uno dei suoi graffiti.

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