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James Franco

Vi va di prendere lezioni di filosofia da me?

- testo di Eva Carducci - foto di Kelly Lee Barrett

QQuando gli stringi la mano pensi che se qualcuno poteva azzardarsi a cercare di riportare in vita il fascino di James Dean quello doveva essere James Franco.Trentanove anni e un sorriso largo così (che in realtà a Dean non abbiamo mai visto), con quel film del 2001 (James Dean - La

storia vera) si guadagnò un Golden Globe. Poi, il nostro amore incondizio­nato per lui è cresciuto quando ha interpreta­to Harry, l’amico-nemico dell’Uomo Ragno.Acqua passata. Una decina di anni fa James ha detto ciao ai ruoli piacioni ed è passato alla regia, si è laureato e ha frequentat­o il dottorato aYale, dove spesso è stato invitato a parlare anche dietro la cattedra. Di più, si è messo a dare lezioni di filosofia suYouTube e oggi, chiusi (per sempre?) gli account Instagram eTwitter, ha aperto un canale dal titolo esplicito, Philosophy

Time. Col professor Eliot Michaelson del King’s College di Londra, discute di filosofia contempora­nea e disserta su aborto, immaginazi­one e bellezza, cercando di portare la filosofia sui social. Non aspettatev­i parrucconi e toni solenni: James indossa un giubbotto e la conversazi­one tra lui, il professore e i numerosi ospiti è easy anche se altissima. Nessuna sorpresa, però, il personaggi­o ormai è noto: colto, curioso e aperto a ogni tipo di esperienza, James odia ogni etichetta e trova bizzarra l’ossessione dei media sulla sua vita sessuale. «Se la definizion­e di gay e etero fa riferiment­o ai partner che ho avuto allora posso dire di essere etero, se si fa riferiment­o invece alla sensibilit­à allora posso definirmi “un po’ gay”. In sostanza potrei dire che sono gay nell’arte e etero nella vita» ha dichiarato qualche tempo fa al NewYork Magazine. Negli ultimi anni ha scelto spesso l’Italia, in particolar­e Venezia, per presentare i suoi film, compreso In Dubious Battle

- Il coraggio degli ultimi, che lo vede alla regia e co-protagonis­ta insieme a Selena Gomez e Bryan Cranston. Il film è stato presentato alla Mostra del cinema di Venezia un anno fa e arriva nelle sale il 7 settembre. «Sceglierei l’Italia anche se non ci fossero festival. Come si fa a non amare un Paese come il vostro? Verrò qui fino a quando mi vorrete» spiega divertito. Smagliante in un look anni 70 l’attore in Italia, oltre a In Dubious

In alto, Franco in una scena di In Dubious Battle e nella serie tivù Hbo The Deuce (in ottobre su Sky Atlantic). Qui sopra, l’attore con il professor Eliot Michaelson sul canale YouTube Philosophy Time.

Battle porta anche una serie tivù, The Deuce che, dopo il debutto su Hbo il 10 settembre prossimo, da noi sarà trasmessa in ottobre da Sky Atlantic. Ci racconta un po’ questa serie?

«The Deuce è il nome con cui, dagli anni Cinquanta agli Ottanta, era nota la 42ma Strada di Manhattan, a New York. È lei la protagonis­ta assoluta del telefilm che racconta le origini dell’industria del porno: io interpreto due gemelli e con me c’è anche Maggie Gyllenhaal. Per quei look anni 70 e quei pantaloni skinny ho mangiato solo insalata per parecchie settimane». Le piace adattare i classici dimenticat­i della letteratur­a americana. Cosa l’ha colpita di In Dubious Battle di Steinbeck? «Mi ha molto sorpreso il fatto che nessuno prima di me abbia avuto l’idea di portare questo romanzo al cinema. Mi è venuta voglia di farlo perché credo che il tema della Grande Depression­e sia purtroppo ancora attuale».

Trova degli agganci con la crisi economica di oggi?

«Già, la rabbia e la voglia di riscatto dei braccianti americani oppressi negli anni 30 ricordano da vicino la frustrazio­ne con cui molti uomini e donne, ancora oggi, sono costretti a convivere. Il lavoro è uno degli elementi più importanti di qualsiasi vita, mai dimenticar­lo». Come mai ha scelto di inserire nel cast Selena Gomez? «Avevo già lavorato con lei qualche anno fa in Spring Breakers di Harmony Korine. È una ragazza in gamba e sa il fatto suo, per questo le ho offerto un ruolo drammatico che non aveva mai interpreta­to. Lei ha accettato subito, voleva far parte della mia follia». Follia? In che senso? «Sono una persona, di conseguenz­a anche un regista, compulsiva, a volte lavoro a più produzioni in contempora­nea. Sono folle in quel senso. Sul lavoro non scherzo, sono meticoloso e preciso, non vado in giro come mi avete visto su Instagram con parrucche stravagant­i, quelle fanno parte del personaggi­o James Franco». Come molti suoi colleghi, lei alterna la tivù al cinema: oltre all’imminente The Deuce, l’abbiamo vista sulla piattaform­a Hulu in 11.22.63. È un appassiona­to di serie? Quali sono le sue preferite? «Ne guardo moltissime, fa parte della mia preparazio­ne come regista: devo essere sempre aggiornato su tutto, nei limiti del possibile. Al momento la mia preferita è Il Trono di Spade, ma nel cuore porto sempre Breaking Bad e I Soprano». È per questo che ha chiesto a Bryan Cranston di interpreta­re lo sceriffo di In Dubious Battle? «Lo ammiro molto come uomo e come attore: non credo di averlo fatto, almeno consciamen­te, per il suoWalter White in Breaking Bad! (ride, ndr)». Qual è la cosa che ricorda con maggiore affetto del suo periodo di apprendist­ato, prima di arrivare a Hollywood? «Il periodo in cui lavoravo in un fast food e mi esercitavo sulle diverse pronunce dell’inglese parlato dagli stranieri. Ero talmente convincent­e con il mio accento italo-americano che una ragazza è tornata indietro e mi ha chiesto se potevo darle lezioni d’italiano. O forse ci stava solo provando con me e io non me ne sono accorto...». Nel 2018 sarà di nuovo nelle sale con The Disaster Artist (secondo Variety potrebbe vincere qualche Oscar), che racconta la storia vera di un regista disastroso. Una scelta eccentrica... «Sì, questa è un’opera a dir poco singolare. Racconta la storia di Tommy Wiseau, autore nel 2003 del film The

Room, un’opera così brutta da diventare un cult, una leggenda. Qui reciterò come un cane, ma di bello c’è anche che ho lavorato con mio fratello Dave». È la prima volta che recitate insieme? «Sì, e francament­e non so perché ci abbiamo messo tanto! Pensi che prima, insieme, avevamo girato solo un video per un sito d’intratteni­mento statuniten­se. Questo è il primo progetto serio che affrontiam­o ed è stato molto divertente “passare del tempo in famiglia”». T

In Dubious Battle affronta un tema attualissi­mo. Parla delle stesse frustrazio­ni che hanno, nel lavoro, molti di noi oggi

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