Fermo immagine Jerry Lewis
NBC STUDIOS, NEW YORK, 1952
Ci bastava improvvisare una gag con i fili del telefono perché la gente ridesse fino alle lacrime, battendo i pugni sul tavolo. Nessuno si aspettava un duo comico come noi, un tizio con la faccia da scimmia dispettosa e un cantante prestato alla comicità, tanto che quando ci affidarono questa trasmissione alla radio (The Martin
and Lewis Show, 1949, ndr) l’atteggiamento generale fu di “amichevole scetticismo”. “Chi potrebbe mai ridere di un buffone petulante e dalla comicità sgraziata che urla, incespica nelle parole, storce gli occhi e combina solo disastri?” scrivevano i critici. Ma io invece ho sempre saputo che se Dio non mi ha fatto bello, mi ha regalato qualcosa di altrettanto prezioso: il senso dell’umorismo.A 5 anni mi esibivo insieme ai miei genitori (immigrati ebrei russi, padre cantante e madre pianista, ndr) e a 16 cantavo in playback tutto il
Barbiere di Siviglia e il repertorio di Carmen Miranda, girando per i night con un cesto di frutta in testa. La verità è che, con la voce nasale che mi ritrovavo, non avevo mai il coraggio di aprire bocca, così ho puntato tutto sul mio corpo.
UNA COPPIA ESPLOSIVA
Successo? Neanche a parlarne, tanto che il mio unico abito di scena era diventato quasi trasparente a furia di usarlo senza che avessi i soldi per comprarne un altro. E poi finalmente arrivò Dean. Quando ci presentarono lui era solo Dino Crocetti, un cantante sconosciuto, e io un comico con i pantaloni lisi al sedere e due bocche, quasi tre, da sfamare (la moglie, Patti Palmer, aspettava il secondo dei loro sei figli, ndr). “Proviamoci” ci dicemmo salendo sul palco insieme, e in pochi mesi l’improbabile coppia mandò in tilt l’America patinata. Scordatevi Stanlio e Ollio, Gianni e Pinotto, Bob Hope e Bing Crosby: oggi a far ridere ci siamo noi, un crooner di belle speranze e un picchiatello un po’ malinconico, convinto che la felicità non esista e che, di conseguenza, non ci rimane altro che provare ad essere felici.