Lapo Elkann
Bello avere un fratello (John Elkann, ndr) che mi ascolta e prende sul serio le mie idee, nonostante il resto del mondo storca il naso ogni volta che mi lancio in un nuovo progetto. Come quando proposi di realizzare la felpa con il marchio vintage della Fiat: mi guardarono come se fossi lo scemo del villaggio, salvo poi ricredersi davanti all’enorme successo di vendite. Chiamarsi Lapo Elkann e nascere nella famiglia più potente d’Italia non è certo un gioco da ragazzi, soprattutto se sei uno spirito libero che non ha nessuna voglia di lasciarsi incasellare. Sono sempre stato lo “strambo” della famiglia, il ragazzino esuberante che adorava sfrecciare sui go-kart aVillar Perosa anziché starsene composto come un damerino, ma anche l’uomo dalle mille risorse, capace di ritrovare il sorriso dopo ogni batosta della vita. Quando, a 13 anni, subii degli abusi sessuali, pensai di farla finita, ma poi ho capito che non c’è niente che non si possa affrontare. «Tu hai le fabbriche, sei il nipote di Gianni Agnelli!»: è la solfa che mi sento ripetere da sempre, come se io non avessi il diritto di star male in virtù del cognome che porto, o come se tutto quello che ho mi fosse stato regalato.
HO PROVATO A FARE L’OPERAIO
Finita la scuola, avrei potuto entrare alla Fiat dalla porta principale, invece me ne sono andato a lavorare come operaio alla Piaggio, con lo pseudonimo di Lapo Rossi. Lì ho capito cosa vuol dire sacrificio, e quanta straziante monotonia ci sia dietro una vita in catena di montaggio.Vuol dire che sono perfetto? Niente affatto, sono semplicemente un uomo, con i suoi difetti e le sue fragilità. Non vado fiero di quanto è successo tre anni fa (nel 2005 finì in overdose dopo un festino con dei transessuali, ndr) ma oggi ho voltato pagina, e d’ora in poi sui giornali voglio andarci soltanto per i miei progetti, come Italia Independent, l’azienda di occhiali personalizzabili che ho fondato nel 2007. Senza arroganza, magari sbagliando, ma vado dritto per la mia strada. Carmen Scotti