Fermo immagine Azzedine Alaïa
La sfilata è terminata (l’ultima della sua carriera, il 5 luglio 2017, ndr), le modelle indossano ancora gli abiti che avevano in pedana e il rumore degli applausi arriva fin qui, dalla sala stipata all’inverosimile. Sono passati sei anni dalla mia ultima sfilata di haute couture, e nessuno voleva perdersi il ritorno in grande stile di Azzedine AlaÏa, il folletto geniale che con un paio di forbici in mano sa diventare un gigante. Naomi Campbell ha aperto il défilé con un cappottino di visone e i capelli avvolti nella pellicola, e a me è sembrato di rivederla adolescente quando, a soli 14 anni, venne a vivere a casa mia, diventando la figlia che non ho mai avuto. Ricordo che parlava inglese con un accento terribile: non capendo nulla di ciò che diceva, telefonavo alla madre che parlava un po’ di francese e facevamo queste assurde conversazioni a tre. Poi, prima di andare a dormire, le mettevo su dei vecchi filmati con Josephine Baker e le mostravo cosa vuol dire essere una vera diva. «Questa sfilata non me la sarei persa per nulla al mondo, mon papà» mi ha detto stasera abbracciandomi forte: Naomi sa quanto ogni collezione sia per me un pezzo di vita.
L'INVENZIONE DEGLI ABITI SCULTURA
Perché mi sono allontanato dalle passerelle? Perché non mi sono mai voluto piegare ai ritmi infernali della moda. Se e quando sfilare lo decido da me, e talvolta presento anche lo stesso modello per due stagioni di fila. Amo troppo la moda per non concederle il tempo e il rispetto che merita. Quando, a 17 anni, mi trasferii a Parigi a lavorare per Guy Laroche, passavo le giornate a guardare dentro ogni bustier, sotto ogni tubino, per capire come nasceva un abito, come si poteva renderlo speciale. La mia strada l’ho trovata con gli abiti fascianti che sembrano cuciti direttamente sul corpo, senza altro ornamento che cerniere o decori di pelle traforata. La mia base di partenza è sempre la donna, il corpo che vesto. Non penso mai a essere di moda.