Patty Pravo
FESTIVALBAR, ASIAGO, AGOSTO 1970
Brindo alla tua vittoria! Così dico a Lucio (Battisti, vincitore del Festivalbar 1970, ndr) e anche LittleTony si unisce a noi in questa serata meravigliosa piena di musica e amici. Io sono arrivata terza, ma che importa delle classifiche, quando hai la fortuna di esibirti davanti a un pubblico che invoca il tuo nome? «Patty, sei la migliore!» gridavano dagli spalti, e io ho chiuso gli occhi e sono tornata indietro a quando ero solo Nicoletta Strambelli, una bambinetta ribelle che sognava una vita da star. Mia nonna voleva che diventassi pianista, ma io mi ostinavo a usare solo i tasti neri del pianoforte, non c’era verso di farmi cambiare idea: era il mio modo di gridare al mondo che adoravo il “lato nero” della musica, personalità come Nina Simone ed Ella Fitzgerald a cui mi ispiravo. Cantavo in piccoli locali scalcagnati, fino a quando Venezia cominciò a starmi stretta e spiccai il volo: prima a Londra e poi a Roma, con il suo fascino e i suoi locali alla moda. Avevo 16 anni quando misi piede al Piper per la prima volta.
UNA VITA ROCK AND ROLL
Camicia bianca annodata in vita, pantaloncini striminziti e stivaletti bianchi altissimi, mi misi a ballare tra la folla e non passai inosservata. «Se canti come ti muovi, farai strada di sicuro» mi disse Alberigo Crocetta (produttore e talent scout, ndr). Il nome d’arte lo scegliemmo insieme, tirando in ballo addirittura l’Inferno di Dante (il verso che recita “guai a voi, anime prave”, cioè malvagie, ndr) ed ecco nata Patty Pravo, la ragazza del Piper, l’idolo beat ribelle e trasgressivo. In un Paese che ti giudica male persino se fumi in pubblico, sono diventata il bersaglio dei benpensanti. «Io gli uomini me li fumo come sigarette» ho dichiarato, perché sono convinta che ogni tanto incasinarsi la vita fa bene, aiuta a vivere il rock and roll come si deve. E io ho sempre inseguito e continuo a inseguire la libertà di essere me stessa, di dire quello che penso.