Fermo immagine Gino Strada
Cambiano i luoghi, il colore della pelle, ma ciò che rimane uguale è la disperazione che vedo sui volti di questi due uomini e che ritrovo, identica, sulle facce di tutte le vittime di guerra. Oggi a Kabul, dove abbiamo costruito un ospedale, ieri in Ruanda, in Iraq, e chissà dove saremo domani, a portare conforto e cure, perché è questo che fa Emergency: assistere i civili nelle zone colpite dalla guerra, offrire cure gratuite e mantenere viva una luce di speranza. Quando mi iscrissi a Medicina il mio intento era di aiutare la gente, ma capii fin da subito che la mia strada non era quella delle corsie ben illuminate degli ospedali di città, che dovevo cercare altrove la mia vera vocazione. A Quetta, in Pakistan, ci andai con la Croce Rossa Italiana pochi anni dopo la laurea, per capire come sarebbe stato svolgere il mio lavoro in un paese povero, e quando tornai in Italia, mi sentii un pesce fuor d’acqua. «Dobbiamo fare qualcosa, non possiamo restare a guardare!» dissi a un gruppo di amici a una cena di Natale del 1993.
MIO FOLLE SOGNO DI PACE
C’era pureTeresa (Sarti, la moglie, ndr) quella sera e anche lei, come tutti, pensò che fossi un po’ matto a sproloquiare di una Onlus da mettere in piedi chissà come. Ma quando raccontai delle atrocità che avevo visto, delle mine antiuomo che i bambini raccolgono pensando siano giocattoli, capirono che non era il progetto di un folle visionario. Cinque mesi dopo, a maggio del 1994, nasceva Emergency: un manipolo di medici volontari, dodici milioni di lire messi insieme con una colletta e il sogno di un mondo in pace. Ricordo una foto che scattai in Ruanda a due ragazzi che giocavano a pallone con la stampella. La mandai a Teresa scrivendoci dietro: “Gliela dobbiamo far giocare questa partita!”. Sono passati tanti anni, ma il mio sogno è lo stesso: permettere alle vittime di tutte le guerre del mondo di vincere la loro partita con la vita.