Fermo immagine Anthony Bourdain
Che sia un panino consumato in piedi davanti a un furgoncino o un’aragosta ordinata in un lussuoso ristorante, il cibo non è mai soltanto un carburante che mettiamo nelle nostre bocche ma una storia, un passaporto per il mondo. Me lo ha insegnato mio padre che il valore di un pasto non si misura dal prezzo ma dal piacere che ti regala, e io questa lezione ho cercato di tenerla sempre a mente, girando la terra per assaggiarne tutti i sapori, senza storcere il naso di fronte a nulla, senza paure e stupidi pregiudizi. “Rockstar dello street food”, “ragazzaccio dei fornelli”, mi hanno definito dopo l’uscita del mio Kitchen Confidential (2000, ndr), in cui ho raccontato i retroscena di sesso, passione, droga e sudore nascosti dietro le quinte dei grandi ristoranti di New York, senza immaginare il successo che mi sarebbe piovuto addosso da un giorno all’altro, insieme alle critiche feroci. Mi hanno accusato di essere volgare, di togliere lustro a un mestiere faticoso e bellissimo, senza capire che non c’è nulla di più snob del considerare la cucina un luogo asettico e senza vita.
IL CIBO HA UN POTERE MAGICO
Quando, a 17 anni, cominciai la mia avventura lavando i piatti in una bettola in Massachusetts, osservavo gli chef al lavoro e sognavo di poter prendere il loro posto, ma ero troppo attratto dalle droghe, troppo pigro e autodistruttivo per riuscire a concentrarmi. Mi ci sono voluti anni per uscire dalla dipendenza, ma non mi basterebbe una vita per diventare un bravo ragazzo, perché non ho mai voluto esserlo. Sarebbe fin troppo semplice mettermi ai fornelli e cucinare un buon piatto, e invece quello che voglio fare, nei miei libri e nei miei programmi, è prendervi per mano e portarvi con me in un chiringuito sperduto a gustare una birra fredda e una zuppa di maiale. Solo così è davvero possibile capire il potere magico del cibo, quel linguaggio universale che unisce i popoli e costruisce la pace.