Marco D’Amore Ero morto, sono risorto
MARCO D’AMORE ORA CHE CIRO, IL BOSS DI GOMORRA CHE INTERPRETAVA, HA FATTO UNA BRUTTA FINE, L’ATTORE È PASSATO DIETRO LA MACCHINA DA PRESA: «È BELLO COMINCIARE DA QUI, QUESTA SERIE È ANCHE MIA»
Sul piccolo schermo, nel ruolo del malavitoso capace delle peggiori nefandezze in nome del potere, lo sguardo torvo di Marco D’Amore fa paura. A sentirlo parlare, invece, l’attore nato a Caserta trasmette positività. Dà l’idea di essere un combattente, parla in modo appassionato di cultura e solidarietà. Non è un caso infatti che a inizio luglio, al Festival Benevento Cinema Televisione, D’Amore abbia portato un reading-omaggio al maestro Vittorio De Sica, «l’OrsonWelles italiano», a suo avviso. Ora che Ciro Di Marzio di Gomorra, il personaggio che lo ha reso famoso in giro per il mondo, è morto, D’Amore resta in forze nella serie di Sky dirigendo alcuni episodi della quarta stagione, in lavorazione tra Londra e Napoli. Perché, signori, anche nel mondo dell’alta finanza c’è corruzione. Come sarà la serie? «A Gomorra nessuno è al sicuro, come in una tragedia greca» ha spiegato il produttore della serie RiccardoTozzi a
Deadline. Quanto al “finto defunto” D’Amore, è entusiasta dei “suoi” attori, soprattutto dei personaggi femminili che nella stagione in onda a primavera avranno sempre più spazio. Com’è stato il passaggio dietro la macchina da presa di Gomorra? «Un regista è un direttore d’orchestra, uno che ha la fortuna di avere accanto a sé tante persone i cui sforzi sono tesi a realizzare le sue idee. Faccio il lavoro più bello del mondo ed è giusto innaffiare quest’esperienza con l’entusiasmo. Quello che saprò dare alla serie lo capiremo alla fine, quando saranno andate in onda le mie puntate».
Cosa l’ha spinta a fare questo salto?
«Sono sempre stato molto interessato a ciò che precede la rappresentazione, infatti sto preparando il mio secondo film da sceneggiatore e produttore. Il passaggio alla regia non è quindi una trovata estemporanea. È la tappa di un percorso meditato, approfondito e durato nel tempo, che non a caso avviene su Gomorra, una serie che conosco bene e che sento mia. Quando si è deciso di mettere fine al mio percorso come attore nella serie, ho proposto questo passaggio e ho trovato subito tutti d’accordo».
Lei vive il suo lavoro come una missione...
«Sono integralista in questo, il cinema è un momento di condivisione. Una bella storia, ben raccontata, può illuminare l’intelligenza, far battere il cuore, ragionare, riflettere. Le mie esperienze sono tutte in quel solco e spero di continuare, di incidere in qualche modo».
È preoccupato per il clima che si respira in questo periodo?
«Ho sviluppato, rispetto alla politica in senso stretto, una forma di nichilismo e ormai spero poco nel domani. Sono tempi difficili in cui non governano istinti nobili ma bassi, che fanno preoccupare e sono legati a reazioni violente, istintive, poco ragionate. Io invece sono stato educato all’amore, alla comprensione, alla generosità».
Ha appena girato un film con Vinicio Marchioni. Com’è andata?
«Prima di Drive Me Home io e Vinicio ci conoscevamo in modo superficiale. C’era stima reciproca ma questo film ci ha finalmente permesso di lavorare insieme e adesso... ci siamo innamorati».
Oltretutto raccontate un’amicizia fortissima...
«Abbiamo condiviso quest’esperienza in modo profondo, come raramente accade al cinema. Drive Me Home, diretto da Simone Catania, è un road movie che attraversa l’Europa dal Belgio alla Sicilia. È la storia di un’amicizia prima perduta e poi ritrovata che mette a confronto due uomini che sono stati amici da bambini e ora si ritrovano uomini senza aver mai smesso di sentirsi legati. Io e Vinicio abbiamo preso in parola la sceneggiatura e abbiamo fatto coincidere il set con la vita: ci siamo legati moltissimo».