Alessandro Gassmann Solo a casa mia sono anonimo
TORNA IN TIVÙ CON UN PERSONAGGIO DI POCHE PAROLE, COME LUI. CHE STA VOLENTIERI IN FAMIGLIA E AL FIGLIO CANTANTE (SE VOLTI PAGINA, LO TROVI!) HA DETTO «PRIMA L’UNIVERSITÀ»
NNel film presentato a Venezia, Una
storia senza nome, è lo sceneggiatore Pes, un cialtrone che usa con disinvoltura una ghostwriter innamorata di lui («un tipo molto italiano, e meno male che riusciamo a prenderci in giro»). Nella serie I bastardi di Pizzofalcone, successo di Raiuno tratto dai romanzi di Maurizio De Giovanni (dall’8 ottobre la seconda stagione, regia di Alessandro D’Alatri) è l’ispettore Giuseppe Lojacono, uno dei “bastardi” del titolo, poliziotti trasferiti in quel commissariato napoletano per punizione. Ma visti da vicino, sia Pes che Lojacono hanno tante sfumature e, in comune, la faccia di Alessandro Gassmann. Lui confessa di amare moltissimo il suo ispettore, un uomo goffo, introverso, solitario. Perché le piace? «È credibile. Lavora con persone che hanno tanti difetti ma li hanno trasformati in punti di forza. Insieme formano un’ottima squadra. Ha un rapporto difficile con le donne, con la figlia, cerca di sfuggire al suo passato. È più un antieroe che un eroe. La seconda stagione, vi assicuro, è più bella della prima». Un personaggio lontanissimo da lei… «Ci sono similitudini. Anch’io, come lui, parlo poco. Mi piace ascoltare. Sono un osservatore. Mi riconosco anche nell’onestà e nel senso del dovere quasi eccessivo. Tengo alla puntualità, all’ordine, vorrei essere perfetto. Sono esigente con me stesso: certe volte penso che potrei godermi di più la vita… E ho difficoltà a esprimere i sentimenti che provo». Davvero? «Quando devo dire una cosa importante, mi tocca vincere la timidezza. Vorrei rassicurare e invece devo essere rassicurato! Se sono costretto a comunicare una brutta notizia, la affogo nei dettagli… Perciò mi sono sintonizzato così bene su Lojacono. Sa che a Napoli mi salutano: “Buongiorno commissà!”. E dovrei correggerli: “Sono ispettore”, ma non lo faccio. Sono Lojacono davvero. E ho imparato ad amare la città». E stata bella questa full immersion napoletana? «Sì, e nei Bastardi Napoli è raccontata con pregi e difetti, colori e suoni. Certe volte ti verrebbe da dire:“State zitti!”, ma se ti senti male per strada ti soccorrono in tre secondi. A Roma la reazione sarebbe più lenta». Si sta divertendo tra cinema, televisione e teatro? «Molto. E farò, spero, divertire anche il pubblico l’anno prossimo con la commedia di Massimiliano Bruno
Non ci resta che il crimine. Racconta di tre amici che fanno un salto nel tempo, catapultati nella Roma del 1982: da schiantare dalle risate. Per bilanciare, faccio a teatro la regia di
Fronte del porto, ma non pensate all’America e a Marlon Brando. La storia è ambientata a Napoli nel ’79, si parla di corruzione, malavita e camorra. Non mi faccio mancare niente». In questa frenesia di impegni, che cosa significa per lei tornare a casa? «La casa è il porto sicuro: trovo l’affetto, la protezione e le certezze. Quello che soffro nel lavoro è vivere in luoghi dove mi riconoscono. Adoro il mio anonimato familiare. Siamo soltanto tre, io, mia moglie e mio figlio Leo, che ha 19 anni e a breve mi dirà “vado”, ma per ora è qui: studia Affari internazionali e psicologia in un’università americana, è bravissimo e ha una grande passione per la musica (è stato a X Factor, ne parliamo a pag. 41, ndr)». Il suo consiglio? «Gli dico sempre che l’Università viene prima. Forse farà qualcosa di buono nel mondo dello spettacolo e troverà il suo posto. In fondo rappresenta la terza generazione in una famiglia di artisti, ma prima si deve laureare. Provo molta tenerezza per lui e i suoi coetanei. Non gli stiamo lasciando un mondo fantastico ma loro sono sorprendenti. I Millennial sono la soluzione ai problemi, dobbiamo soltanto aiutarli a credere in se stessi. Noi siamo antichi». Cosa significa per lei sentirsi libero? «Stare in mutande sul divano a mangiare cose schifose con qualcuno che ti dice “fai schifo”. Se voglio, posso. E anche gli altri, ovviamente possono fare lo stesso».