Fenomeno modest fashion
Top model con il velo, influencer di fede islamica e un business miliardario: è boom (in tutti i sensi) per la moda che rispetta le norme coraniche
VELO SUL CAPO, GAMBE E BRACCIA COPERTE, LINEE MORBIDE
Ecco, in sintesi, le regole di stile halal (in arabo, “lecito”) per le donne di religione islamica. La “moda modesta” parte da questi principi, ma li declina in chiave glamour e contemporanea.
LE PAROLE CHIAVE
Per avere un’idea del fenomeno, basta farsi un giro su Instagram tra i profili delle stilosissime hijabi
bloggers (l’hijab è il velo che lascia scoperto il viso) che incarnano alla perfezione l’hashtag in grande ascesa #modestfashion: personaggi come Marwa Hassan (1,3 milioni di follower), Habiba da Silva (825mila follower) o Saufeeya Goodson (oltre 400mila follower), per nominarne alcune. Oppure provate a googlare il termine “mipster”: scoprirete schiere di giovani che amalgamano lo stile di vita metropolitano tipico degli hipster (abbigliamento, interessi culturali, atteggiamento cosmopolita) con la fede musulmana.
IL COMPROMESSO MORALE
Secondo le nuove generazioni, la fede non esclude mica il fatto di essere una fashionista. O meglio: hijabista. «Sono musulmana, non è qualcosa di brutto, è qualcosa di positivo. Abbiamo sempre avuto donne straordinarie nella nostra comunità, come medici o avvocati, a cui poterci ispirare. Ma non abbiamo mai avuto qualcuno nel mondo della moda.
Per le ragazze di fede islamica, il problema è trovare la propria “immagine” nei giornali o in tivù»: a parlare è Halima Aden, prima top model velata a sfilare sulle passerelle di marchi occidentali (tra cui Max Mara) e a conquistare pure la copertina di British Vogue. Secondo Reina Lewis, docente al London College of Fashion e autrice del saggio Contemporary Muslim Fashions, è tutta una questione di saper includere le diversità, «come succede per le taglie, o l’identità sessuale e di genere». Certo, quando si parla di “velo” la questione si fa delicata perché tocca il campo minato dello scontro culturale tra Oriente e Occidente, portando alla luce stereotipi e pregiudizi: ci sono Paesi, come l’Arabia Saudita, dove le donne indossano il niqab, che lascia scoperti solo gli occhi, insieme a un lungo abito nero chiamato abaya. Ma ci sono anche Paesi dove le norme sono vissute in maniera meno rigida e dove le Muslim Millennial affermano il loro diritto di essere cool. Un desiderio che, in questi anni, si sta concretizzando in numeri importanti.
IL GIRO D’AFFARI Secondo l’ultimo State of the Global Islamic Economy Report, nel 2017 la modest fashion ha generato un giro
d’affari di 270 miliardi di dollari ed entro il 2023 potrebbe arrivare a 361 miliardi di dollari. A Londra, Istanbul e Dubai si organizzano annualmente le Modest Fashion Week. E sempre nel Paese degli Emirati, si sono appena conclusi i Dubai Fashion Days, a cui hanno partecipato stilisti da tutto il mondo. Un universo in espansione, nel quale stanno entrando i brand occidentali con linee ad hoc: tra gli ultimi arrivati, H&M, che a maggio ha lanciato la LTD Collection, seguendo l’esempio di Mango, Uniqlo e Nike, ma anche di griffe come DKNY, Prada, Carolina Herrera, Dolce & Gabbana, Michael Kors e Tommy Hilfiger. Dalle nostre parti si sta facendo largo la giovane stilista Hind Lafram: nata a Casablanca e cresciuta a Torino, crea abiti da giorno e da sera che mixano il gusto italiano agli accorgimenti che li rendono adatti alla donne islamiche. E i suoi outfit piacciono pure a chi musulmana non è.