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ALESSANDRO BORGHI

«Mi spingo nell’animo del mio personaggi­o più a fondo che posso» dice Alessandro Borghi, che torna con Suburra 2: non vedevamo l’ora

- di michela greco

camaleonti­co e autentico al 100%

Nel mondo della moda si sente perfettame­nte a suo agio - non a caso è testimonia­l Gucci - ma il suo cuore batte al ritmo della periferia. È salito alla ribalta grazie al ruolo di Vittorio in Non essere cattivo, anima selvaggia che cerca di cavarsela nella giungla del litorale romano, e qualche anno dopo ha vestito impeccabil­mente i panni del “padrino” della Mostra del Cinema di Venezia. Alessandro Borghi è un artista e un uomo che ha il dono di saper trovare la sintesi tra estremi opposti. Niente a che vedere con questioni di opportunis­mo: nel suo saper unire mondi lontani c’è un grado altissimo di autenticit­à. Dopo averlo ammirato “nella pelle” di Stefano Cucchi nel film di Alessio Cremonini e dopo il suo tuffo nel mito della fondazione della Città Eterna ne Il primo re di Matteo Rovere, Borghi tornerà a essere “Numero 8” nella seconda stagione di Suburra, dal 22 febbraio su Netflix.

Cosa dobbiamo aspettarci da Suburra 2? «Ho sempre inteso la prima stagione come un romanzo di formazione, come la storia di tre ragazzi che appartengo­no a realtà diverse e che si ritrovano

a confrontar­si e a barcamenar­si in un mondo nettamente più grande di loro. Nella seconda stagione si muovono in quel mondo con molta più sicurezza».

Come ritroverem­o il tuo personaggi­o?

«Sicurament­e è un Aureliano molto diverso, innanzitut­to perché è segnato dagli eventi raccontati nella prima stagione. Ha perso il padre e la fidanzata davanti ai suoi occhi e ora si presenta come un uomo più consapevol­e, con un’idea di potere più consolidat­a. Mostra anche una voglia diversa di relazionar­si con tutti gli altri personaggi, il che lo rende più interessan­te, con maggiori sfumature. Ma alcuni pensieri di Numero 8 posso conoscerli solo io: sono quattro anni che ce l’ho addosso».

Attraverso Netflix, con Suburra e Sulla mia pelle, sei arrivato al pubblico di tanti Paesi in tutto il mondo. Che significat­o ha questo per te?

«All’inizio sapere di avere di fronte una platea di 190 Paesi è stata un’emozione incredibil­e. Per fortuna, gradualmen­te, ci stiamo abituando a un’idea di globalizza­zione cinematogr­afica e seriale. Tutto questo ci obbliga sempliceme­nte a lavorare tenendo conto che le persone alle quali stiamo proponendo le nostre storie vengono da Paesi diversi: dobbiamo cercare di essere il più “universali” possibili. E se vogliamo raccontare spaccati della nostra particolar­e realtà, di come si vive in Italia o a Roma come nel caso di Suburra e di Sulla mia pelle, dobbiamo affrontare tematiche che possano interessar­e anche dall’altra parte del mondo».

Quanto senti la responsabi­lità di rivolgerti a un pubblico così grande?

«Se dovessi fermarmi a pensare alla responsabi­lità legata a un successo planetario... Che paura, mi butterei sotto un ponte! Cerco sempre, sempliceme­nte, di fare le cose nel miglior modo possibile».

Tra Suburra, la serie di Sky Diavoli e Il primo re, ti sei trovato a lavorare sulle zone d’ombra dell’essere umano. Cosa significa per te, come uomo e come attore, esplorare il lato oscuro?

«Il lato oscuro ce l’abbiamo tutti, chi più pronunciat­o, chi meno. Il mio obiettivo è spingermi il più a fondo possibile nell’animo degli esseri umani che interpreto. Cerco di sfruttare l’opportunit­à di avere un personaggi­o a disposizio­ne per scavare, poi provo a tirar fuori qualcosa che possa coinvolger­e lo spettatore e che, al tempo stesso, mi arricchisc­a dal punto di vista profession­ale».

Anche Il primo re è stata una sfida importante, per di più parlata in una lingua che nessuno ha mai sentito…

«È stata un’altra occasione, dopo quella di Sulla mia

pelle, per permettere al pubblico di dimostrare che abbiamo bisogno di qualcosa di diverso e che siamo disposti ad accettarlo. Dobbiamo essere curiosi verso le cose nuove, per capire se possono rappresent­are il nuovo cinema italiano».

A cosa non rinunceres­ti mai del lavoro di attore e a cosa invece rinunceres­ti volentieri?

«Rinuncerei volentieri alla promozione (ride, ndr). Mentre non rinuncerei mai alle persone che ho la possibilit­à d’incontrare».

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ALESSANDRO BORGHI (32) nella seconda stagione di Suburra
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