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Una capsule nel nome della... Mixitè!

Una collezione che ibrida preziosi tessuti italiani e africani, creata da rifugiati e richiedent­i asilo. Dove? A Treviso. I prezzi dei capi? Equi. Perché essere fashion non ha confini

- di federica presutto

la dice lunga, già dal nome: la collezione Mixité nasce dall’unione del Made in Italy con il Made in Africa. Ovvero, i tessuti di lana (mohair, cachemire o alpaca) del Lanificio Paoletti di Follina (in provincia di Treviso) letteralme­nte cuciti insieme alle stoffe della Vlisco, azienda da 200 anni esperta nel wax, tecnica di stampa con la quale si creano i cotoni colorati prediletti dagli outfit africani. E già così, l’effetto “mixité” sarebbe assicurato. A dare un ulteriore twist

internazio­nale, i sarti della capsule: rifugiati e richiedent­i asilo dall’Africa Occidental­e che fanno parte di Talking Hands, laboratori­o di design con sede nell’ex Caserma Piave di Treviso. Location che oggi è diventata (la mixité continua!) uno spazio multifunzi­onale con un centro sociale, una libreria e vari laboratori. Il team di Talking Hands, poi, è un altro inno al multicultu­ralismo: a coordinare l’atelier, Sanryo Cissey e Lamin Saidy dal Ghana; pattern maker (si può tradurre, semplifica­ndo, con modellista) Anthony Knight, nato a Londra, di origini giamaicane e docente di Design della moda all’Università di Venezia; art director, Fabrizio Urettini. Che in questi giorni sta lavorando, insieme alla sua squadra cosmopolit­a, alla collezione Mixité per la primaverae­state 2019: «La nuova capsule, rigorosame­nte unisex», ci racconta, «è composta da casacca, spolverino e dal nostro pezzo cult, il capospalla stile kimono doubleface: da indossare dal lato “italiano” o da quello “africano” secondo l’occasione o il mood del momento». Due capi al prezzo di uno, che ci fanno venire ancora più voglia di mixité.

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NELL’ATELIER di Treviso, tra stoffe africane

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