Una capsule nel nome della... Mixitè!
Una collezione che ibrida preziosi tessuti italiani e africani, creata da rifugiati e richiedenti asilo. Dove? A Treviso. I prezzi dei capi? Equi. Perché essere fashion non ha confini
la dice lunga, già dal nome: la collezione Mixité nasce dall’unione del Made in Italy con il Made in Africa. Ovvero, i tessuti di lana (mohair, cachemire o alpaca) del Lanificio Paoletti di Follina (in provincia di Treviso) letteralmente cuciti insieme alle stoffe della Vlisco, azienda da 200 anni esperta nel wax, tecnica di stampa con la quale si creano i cotoni colorati prediletti dagli outfit africani. E già così, l’effetto “mixité” sarebbe assicurato. A dare un ulteriore twist
internazionale, i sarti della capsule: rifugiati e richiedenti asilo dall’Africa Occidentale che fanno parte di Talking Hands, laboratorio di design con sede nell’ex Caserma Piave di Treviso. Location che oggi è diventata (la mixité continua!) uno spazio multifunzionale con un centro sociale, una libreria e vari laboratori. Il team di Talking Hands, poi, è un altro inno al multiculturalismo: a coordinare l’atelier, Sanryo Cissey e Lamin Saidy dal Ghana; pattern maker (si può tradurre, semplificando, con modellista) Anthony Knight, nato a Londra, di origini giamaicane e docente di Design della moda all’Università di Venezia; art director, Fabrizio Urettini. Che in questi giorni sta lavorando, insieme alla sua squadra cosmopolita, alla collezione Mixité per la primaveraestate 2019: «La nuova capsule, rigorosamente unisex», ci racconta, «è composta da casacca, spolverino e dal nostro pezzo cult, il capospalla stile kimono doubleface: da indossare dal lato “italiano” o da quello “africano” secondo l’occasione o il mood del momento». Due capi al prezzo di uno, che ci fanno venire ancora più voglia di mixité.