La Cardioposta di Pulsatilla
Cinque anni di fidanzamento, sette di matrimonio, tre traslochi, una figlia, una casa, un cane.
E un giorno di quasi un anno fa mio marito mi dice che non mi ama più. Me lo dice sulla porta della cucina, mentre sto preparando il pranzo, mi dice che si è innamorato di una collega e che dopo un anno di menzogne non ne può più. Non mi ero accorta di nulla, per me andava tutto bene, per me avevamo la nostra routine e crescevamo insieme questa bambina bellissima. Da quel momento il mio mondo è crollato e non riesco a risollevarmi. Vorrei poterti dire che lo odio, ma la verità è che lo amo ancora. Vorrei poterti dire che sono in grado di andare avanti ma la verità è che non ne ho più le forze. Sto vedendo una psicologa ma mi sembra inutile. Non so cosa fare. Anna
Sono contraria agli psicofarmaci ma a volte dare un break alle ruminazioni mentali, giusto per qualche settimana, può essere rigenerativo. Se fossi in te, proverei a sentire anche uno psichiatra e a prendere in considerazione l’ipotesi di lasciare alla moderna farmacologia il compito di portarti le buste da qui a lì, giusto il tempo di riposare un po’ le braccia. Per il resto, ti presento un nuovo protocollo di guarigione dal dolore. L’ho inventato io. Si chiama: “Stacce”. “Stacce” è una forma imperativa del dialetto romanesco, significa “Stacci”, “Fattelo andar bene”, “Trova il modo di tollerarlo”. Uno degli esempi classici è: “Questo c’è per pranzo, Ciccio. Pasta e verdura. Stacce”. È inutile dire quanto questo protocollo possa essere crudele, se usato nel modo sbagliato. “Tuo marito ti picchia. Stacce”. Oppure: “Tuo figlio è un malvivente. Stacce”. Oppure: “Ti hanno diagnosticato questa malattia. Stacce”. Senti subito un moto di insubordinazione che viene da dentro, perché una parte di te non ci sta, vuole trovare immediatamente soluzioni. Vuole subito riavere l’armonia, la salute, l’amore. Ok. Stai anche con quella parte, la parte che vuole scappare a gambe levate dalla sofferenza. Stai con tutto ciò che senti. Prendi il pacchetto all-inclusive. Chiudi gli occhi, respira, e stacce. Poi, con carta e penna alla mano, fai una lista di motivi per cui questa situazione è ottima esattamente così com’è. Cerca il positivo. Ad esempio: “Questa situazione mi sta insegnando ad essere un genitore migliore, più robusto”. “Questa situazione mi sta allenando a diventare una persona più consapevole; in fondo essere più consapevole è ciò che ho sempre voluto”. Oppure: “Questa situazione mi sta dando l’opportunità di liberarmi da un rapporto sterile e mi sta preparando a ricevere qualcosa che mi corrisponde di più”. Anna, se vuoi un futuro che ami, il primo passo è amare il presente. Mi dirai che, se non avessimo polemizzato con il fatto di non poter volare, non avremmo mai inventato l’aereo. Né avremmo sviluppato cure per le malattie, né avremmo battuto strade alternative. E hai ragione, il desiderio di cambiare le cose è sacrosanto. Ma prima di imparare a volare, c’è un passo preliminare da fare, difficilissimo, ma indispensabile, che è: sentire quanto la vita sia bella anche a piedi. Prati, fiori, alberi, automobili.
I cieli visti da qui, che sono bellissimi. Abbraccia tutte le tue sensazioni, inclusa la paura, la vergogna, l’abbandono, e prova a godertele, come ci si gode una giornata di pioggia dal primo piano. Stacce. Finché non impari a godertele, queste sensazioni in un modo o nell’altro torneranno nella tua vita. Torneranno sotto forma di uomini che non torneranno. O torneranno sottoforma di circostanze inaspettate. Coltiva apprezzamento per ciò che il momento ti offre. Stai con tutto. Stai con te. Stai qui. Stacce. Quando la accetti così com’è, paradossalmente, la vita cambia.