L’inferno si sposta in Australia
Le fiamme hanno bruciato (per ora) un’area grande quanto il Nord Italia. E la beneficenza non basta
koala, canguri ed esseri umani
8,3 milioni di ettari divorati dalle fiamme, in un’area estesa quanto l’Italia del Nord. 200 focolai ancora attivi che, a causa del clima torrido che ha superato i 40 gradi, minacciano di unirsi in un unico grande incendio in tutto il sud-est australiano. 25 vittime accertate, tra cui tre vigili del fuoco, almeno 100mila sfollati e oltre 2000 abitazioni mangiate dal fuoco, di cui non rimane che lo scheletro. E ancora: fino a 480mila animali morti, secondo un calcolo dell’Università di Sidney, e un’immensa nuvola di fumo rosso, visibile anche dalle coste argentine, che si staglia fino al cielo, avvolgendo in una coltre irrespirabile le grandi città del Paese come Sidney, Canberra e Melbourne. L’Armageddon di fuoco che sta divorando l’Australia non può essere però riassunto in una sfilza di numeri. Né in qualche immagine lacrimosa, trasmessa in loop dai telegiornali di mezzo mondo, sui koala che, alimentati dai biberon dei volontari, ora rischierebbero l’estinzione. Quanto accaduto in Australia, con quasi il 50% dei boschi che rischiano di scomparire, chiama in causa anche l’uomo e il suo modello di sviluppo, il climate change e il conseguente inaridimento della vegetazione. È questo che ha favorito il diffondersi dei fuochi e ha inaugurato, secondo il professore emerito dell’Università dell’Arizona, Steve Pyne, una nuova era geologica di innalzamento delle temperature e incendi su tutta la crosta terrestre: il cosiddetto Pyrocene. Non c’è, insomma, solo da interrogarsi sulla follia dei piromani o sulla fatalità dei venti che hanno spirato fortissimi, fino a 100 chilometri orari. C’è anche, al cuore del problema, la domanda di nuove politiche ambientali che sta travolgendo il governo del premier Scott Morrison, accusato di aver rassicurato subito - mentre si trovava in vacanze alle Hawaii - non i suoi concittadini, ma la potente industria del carbone che è da anni uno dei main sponsor del partito conservatore.
TRA CHARITY E AUTOPROMOZIONE
È scattata una gara di solidarietà con migliaia di volontari sul campo e un flusso di beneficenza dove si sono segnalati, per generosità, personaggi dello spettacolo, influencer, ma anche - attraverso il crowdfunding - anonimi cittadini. Con gli attori e i musicisti australiani, naturalmente, in prima fila. Anche ai Golden Globe di Beverly Hills. Nicole Kidman
ha interrotto un’intervista sul tappeto rosso pensando, quasi in lacrime, alla sua abitazione minacciata dalle fiamme: con il marito Keith Urban ha versato 500mila dollari ai pompieri locali, la stessa cifra messa a disposizione dalla cantante Pink. Grande assente alla premiazione, «per proteggere la mia famiglia e la mia casa dalle fiamme», il gladiatore Russell Crowe, che ha donato 5mila dollari a una trentina di associazioni locali, facendo leggere alla sua amica Jennifer Aniston, sul palco, un pesante j’accuse contro il cambiamento del clima, a suo dire responsabile del diffondersi delle fiamme. L’Avenger australiano Chris Hemsworth ha annunciato di aver versato un milione di dollari, facendo un appello subito rilanciato dall’attore australiano Hugh Jackman - affinché tutti facciano la loro parte. E poi, ancora, Leonardo DiCaprio, Sharon Stone, Kylie Minogue, Selena Gomez, la britannica-australiana Naomi Watts, la famiglia reale inglese, l’attrice e sceneggiatrice Phoebe Waller-Bridge (che, per raccogliere fondi, ha messo all’asta il completo di Ralph & Russo indossato ai Golden Globe). Non mancano le idee creative, in questa corsa contro il tempo, dove il marketing e la generosità vanno spesso a braccetto. L’influencer americana Kaylen Ward autodenominatasi The Naked Philanthropist - ha promesso su Instagram di inviare via mail una sua foto senza veli a chiunque doni dieci dollari in beneficienza. Ha fatto un’abile operazione di autopromozione, come dicono i maligni, ma nel giro di pochi giorni ha anche raccolto la bellezza di 500mila dollari a favore di una serie di associazioni australiane, dai pompieri fino agli ospedali da campo per i koala.
ATTACCO ALLA BIODIVERSITÀ
C’è un video su internet, impressionante, che arriva da Batlow, nel Nuovo Galles del Sud, una delle città più colpite dagli incendi. Ai bordi della strada, mentre passa il pick-up che porta al centro abitato, ci sono centinaia di animali uccisi dalle fiamme: koala, pecore, canguri, wallaby, potoroo. I simboli della straordinaria biodiversità australiana ridotti a corpi carbonizzati. Tra le aree più colpite, con un terzo del territorio distrutto, c’è la rinomata Kangaroo Island, al largo della costa meridionale, paragonata da molti alle Galapagos per la sua ricchezza faunistica. «L’incendio ha completamente devastato l’habitat di alcune specie, come gli stormi di cacatua neri lucenti e i dunnart, piccoli marsupiali endemici già in via di estinzione» ha detto il professor Chris Dickman dell’Università di Sidney. «La principale sfida sarà quella di ripristinare le popolazioni di animali selvatici a lungo termine. Ci vorranno decenni».
POLITICA CLIMATICA, QUESTA SCONOSCIUTA
L’ecatombe degli animali non è solo un problema che tocca le corde dell’emozione: è un colpo ferale al turismo naturalistico, importantissimo per l’economia australiana. È questa, secondo gli ambientalisti, la miopia della classe dirigente dell’Australia, un Paese-continente che non solo è uscito dagli accordi di Parigi ma si classifica secondo il Climate Change Performance Index (CCPI) 2020 - all’ultimo posto nella valutazione della politica climatica, fanalino di coda sia nella categoria delle emissioni di gas serra che in quella delle energie rinnovabili. C’è un’immagine che è diventata virale su internet in Australia: quella del volontario che rifiuta di dare la mano al premier Scott Morrison, accusato di negazionismo climatico per il suo sostegno all’industria del carbone. Non è certamente lui il piromane, ma natura ed economia, e non solo in Australia, devono marciare insieme.