Brunori Sas «Voglio conoscere i miei pettirossi»
Brunori Sas presenta in suo quinto album in studio, Cip!. Un disco svolazzante, pieno di poesia, di riflessioni esistenziali e di amore. Come quello che lo lega al suo pubblico
tra battute e temi caldi
Ironico, divertente: l’ultimo poeta della musica italiana, Brunori Sas, è un cabarettista nato. Il suo nuovo album si chiama Cip!, e per presentarlo il cantautore cosentino sfodera tutta la sua verve: cita John Lennon come «quell’artista minore che nomino per fargli un po’ di pubblicità», si paragona ad Einstein «ma senza le formule noiose», passa da Eraclito a De Gregori «che un giorno ho incontrato all’Autogrill: gli ho dato il mio disco e una rustichella, che sennò faceva brutto». Una risata dietro l’altra, fino a quando il discorso si fa serio e il “vecchio romantico” confessa che con questo lavoro ha voluto «recuperare lo sguardo del fanciullino del Pascoli. Forse, oso dirmi, per i figli che non ho». Perché quando si scoprono le carte dei sentimenti, i temi sono grandi: l’amore, l’accettazione consapevole, persino la politica delle Sardine. Tutto si sviscera al primo degli incontri Parla con Dario, appuntamenti dove i fan di Brunori possono conoscerlo e fargli delle domande. Abbiamo partecipato al primo evento, alla Casa degli Artisti di Milano: «Quando le cose si fanno grandi c’è il rischio che si possa mettere una barriera tra l’artista e il pubblico e io non voglio cadere in questo tranello». Così, in attesa del tour nei palazzetti, al via il 3 marzo da Jesolo, Brunori Sas girerà una decina di città, tra aule universitarie, club e luoghi di musica e cultura, per parlare con i suoi fan, ribattezzati
«la setta dei Pettirossi».
Nel disco ci sono undici canzoni ricche di parole. Qual è l’emozione principale? «Rispetto all’ultimo album
(A casa tutto bene, 2017, ndr) in cui affrontavo il tema della paura e del cambiamento, qui canto l’altro motore che muove il mondo, ossia l’amore nelle sue varie declinazioni, dal rapporto di coppia allo slancio verso la vita. Descrivo ciò che tiene unite le persone, invece di ciò che le divide, contro il passare del tempo».
Il riferimento è alla ballata
Per due che come noi, accompagnata da un video in cui una coppia si rivede come in un film e si interroga sul presente e soprattutto sul futuro.
«In tutto il disco c’è un desiderio di sfuggire a quella velocità che è propria delle macchine, ma che stiamo trasferendo anche al rapporto tra esseri umani.
È un tentativo di resistere all’obsolescenza programmata dei sentimenti, e di raccontare le difficoltà che derivano dal desiderio di far funzionare le cose. Senza paura delle rughe di una relazione di lunga data».
Come si fa ad andare avanti?
«Bisogna trovare una forma di accettazione che non è rassegnazione ma piuttosto decidere di non soffrire, di non perdere tempo in cose che non si possono cambiare. È un discorso olistico, volto a riconciliarci con la nostra condizione esistenziale, con la sofferenza, con l’accettare anche ciò che è brutto perché forse è necessario. Sono elementi che hanno a che fare con la spiritualità, con la religiosità nel
senso di “religo”, ossia di ricollegarsi al tutto e di pensare che, sì, è importante la vicenda umana, ma questa va vista da lontano e nel contesto in cui si sta svolgendo. È come la sindrome della veduta di insieme di cui soffrono gli astronauti: dopo che osservano la Terra dallo spazio, cambia la consapevolezza delle cose, il senso del bene e del male».
Nel 2009 il tuo primo disco: che rapporto hai con la celebrità? «Sono felice che ci sia stato un percorso, non ho mai inseguito un obiettivo di notorietà. In fondo le canzoni sono dei promemoria per chi le scrive, una forma di reazione a un’introversione e infatti io ho molta difficoltà a comunicare nella vita privata quello che canto sul palco. Quando inizi a scrivere, è come se mettessi in un cassetto anche le cose di te che non ti piacciono, perché è terapeutico, ma quando sai che in quel cassetto ci guardano tante persone puoi avere la tentazione di infilarci solo una parte di ciò che sei».
E se un giorno un Pettirosso incontrasse una Sardina?
Ride (ndr). «Ho partecipato al primo meeting delle Sardine a Cosenza e, nonostante le tante anime e le ingenuità legate al tipo di aggregazione, finalmente abbiamo un contromovimento che coinvolge i ragazzi. Ma mi riservo di capire meglio, per il momento sono in osservazione».
Un’ultima domanda “piccante”: preferisci ‘nduja o peperoncino?
«Peperoncino tritato, la n’duja non è della mia zona».