Campioni in campo e in eleganza
L’ultimo è Claudio Marchisio: gli ex calciatori lasciano gli stadi e si tuffano nell’arena della moda. Testimonial sì, ma anche imprenditori
scarpette chiodate, addio
In principio fu un paio di calzini. Claudio Marchisio ha appeso le scarpette al chiodo e ha trovato subito cos’altro indossare. Scenario: l’ultimo Pitti Uomo, grande fair della moda maschile ma, ancora di più, eccezionale fucina di fashion influencer futuri. Lo storico calzificio Re Depaolini ha voluto il fu calciatore come primo testimonial e ambassador della collezione RED. Motivazione: «Claudio è un’icona di vita, sport e stile. Un gentiluomo deciso, mosso dall’attenzione per i dettagli e dall’eleganza senza tempo». Le nuove icone di eleganza? Sono, chi l’avrebbe mai detto, gli ex campioni del pallone. A 34 anni appena compiuti, Claudio sfrutta le doti di belloccio (qualcuno può forse contestargliele?) per inaugurare la sua seconda vita. Non da allenatore o consulente sportivo, o almeno così pare, ma da fashionista vero e proprio.
PRIMA E DOPO DAVID BECKHAM
In principio, in realtà, fu un’altra cosa ancora: the one and only David Beckham. Se esiste un “prima” e “dopo Cristo”, nel rapporto sempre più stretto tra giocatori sul campo e idoli da passerella (o quasi), il nome da venerare è proprio il suo. Le collaborazioni coi grandi marchi erano già iniziate quando ancora scalciava sui campi di Sua Maestà. Ma, smessi i calzoncini, l’impero da re del fashion (complice la moglie designer Victoria) è accresciuto a dismisura. Dagli orologi alla biancheria intima (chi ha dimenticato la linea “conscious” per H&M e, soprattutto, le foto della relativa campagna desnuda?), agli abiti sartoriali da perfetto gentleman londinese: il brand è Kent & Curwen, la linea Garrison Tailors, l’ispirazione è la serie cult Peaky Blinders, uno dei suoi show preferiti. Fino all’elezione, per mano nientemeno che del British Fashion Council, ad ambassadorial president, una nuova figura creata ad hoc per supportare l’immagine dell’istituzione in tutto il mondo, in particolare Asia e Stati Uniti. «Victoria è la mia ispirazione», ha
dichiarato di recente con la consueta tenerezza. «Ho osservato attentamente quello che ha fatto col suo business e ho capito che, per seguire le sue orme, avrei dovuto essere pronto fisicamente e mentalmente. È solo così che si può raggiungere il successo».
DAGLI STADI AGLI ATELIER
Oltre a David, però, oggi c’è di più. Ovvero: uno stuolo di imitatori, che adesso più che mai trova terreno fertile per passare dagli spogliatoi degli stadi agli atelier degli stilisti. Stilisti, anzi, lo si può diventare da sé. Il caso con più hype nel mondo dello streetwear è BALR., brand sportivo di lusso lanciato dagli ex giocatori olandesi Gregory van der Wiel, Demy de Zeeuw e Eljero Elia. Che, per rendere la loro società übercool, ci hanno messo soldi e tattoo. «La nostra missione è unire due mondi diametralmente opposti come il calcio e la moda. La ricerca della perfezione è ciò che ci muoveva quando eravamo in campo, ed è anche ciò che mettiamo oggi nella creazione di capi d’abbigliamento in cui la cultura del football si sposa con l’idea più contemporanea di fashion». L’altro modello a cui fare riferimento è Rio Ferdinand, l’inglese diventato grande col Manchester United che prima ha fondato una rivista (#5 Magazine) e poi lo “spin-off” FIVE Supply, marchio a vocazione urban. Il brasiliano Pato, indimenticato attaccante del Milan, pare stia studiando per diventare stilista fai-da-te: piccoli Beckham crescono.
AMBASCIATORE MARCHISIO
Ci sono poi quelli che, invece, preferiscono stare dall’altra parte del guardaroba. L’esempio principe è Héctor Bellerín, spagnolo attualmente in attività con l’Arsenal che però si prepara a possibili carriere future: alle ultime sfilate uomo parigine, ha sfilato con Louis Vuitton, che tiene d’occhio i belli del pallone. Vedi il fotogenicissimo giapponese Hidetoshi Nakata, ospite fisso nella front row della maison che da quasi quindici anni del calcio non ne vuole più sapere: preferisce fare l’icona di stile transcontinentale. «Mi viene del tutto naturale», confessa lui candidamente. «Credo che oggi non ci siano confini tra moda, cibo, arte e design. Mi piacciono le cose belle». E infatti, all’occorrenza, mette la sua firma su capsule di gioielli o, addirittura, edizioni limitate di sakè. E per un vecchio Bobo Vieri che si lanciava, primo fra tutti gli italiani, nella moda (ricordate il suo Sweet Years?) e un più recente Zlatan Ibrahimović che ha dovuto chiudere il suo brand A-Z, ne verranno molti di nuovi. Marchisio è colui che può convincerli: «Non amo le banalità stilistiche. Prediligo accessori che diventano dettagli imprescindibili del mio guardaroba, piccoli dettagli che mi permettono di osare senza eccedere». La classe e l’equilibrio spiegati dal vincitore di sette scudetti? Ebbene sì.