Irma Testa Il virus non ci metterà al tappeto
Parla la boxeur Irma Testa, dopo il rinvio delle Olimpiadi: «Non mollo, continuerò ad allenarmi come e più di prima»
UN COLPO (QUASI) DA KO
La notizia del rinvio di un anno di Tokyo 2020 non ha colto di sorpresa Irma Testa, 22 anni, campana di Torre Annunziata e campionessa europea nel 2019 di pugilato femminile, tra le favorite all’Oro olimpico. Se lo aspettava, come se lo aspettavano tutte le atlete della compagine azzurra. «Il colpo, a livello psicologico, c’è stato, non posso negarlo» ammette al telefono dal suo mini appartamento in Umbria, dove si trova in autoisolamento fiduciario dopo il rientro da Londra il 20 marzo. «Ma continuerò ad allenarmi, come e più di prima. Certo, dobbiamo rivedere i metodi, riorganizzare la nostra vita e la programmazione, persino il calendario. La decisione del Comitato Olimpico però è quella giusta. Non c’erano proprio le condizioni adatte per organizzare un’Olimpiade».
La botta è stata forte. Alcune atlete stanno meditando di mollare tutto. Un altro anno è troppo.
«Certo. Soprattutto quelle più in là con l’età. Penso per esempio a tutte quelle campionesse che l’anno prossimo non avranno più l’età per gareggiare.
È come se avessero buttato via gli ultimi tre anni di sacrifici. Come la mia collega Mira Potkonen, bronzo olimpico a Rio, che a novembre compirà 40 anni. Come lei ce ne sono tante altre che in questo momento sono assalite dai dubbi. Un anno in più di preparazione è molto per noi atlete. Significa rivedere tutti i piani che avevamo fatto. Fare altre rinunce. Ma, che cosa ti posso dire?, è la mia vita. Vado avanti».
Come passi le tue giornate in quarantena?
«Mi alleno come posso. Brevi allenamenti per qualche
ora ogni mattina e al pomeriggio. C’è un piccolo giardino qui davanti alla mia casetta. E poi cucino: carne, insalata, pasta, quello che riesco quando mi lasciano la spesa davanti alla porta. Sento al telefono su Skype le amiche e i miei parenti giù. E poi tante serie tivù, come La casa di carta o Élite... Cose leggere, di moda, che mi distraggono».
Continuerai ad allenarti anche ora che il rinvio è stato ufficializzato o ti prenderai una pausa?
«Sì, devo farmi trovare pronta per il prossimo anno. Non posso permettermi di staccare. Ne parleremo comunque con tutto lo staff. Ma prima, dopo la fine della quarantena, voglio prendermi qualche giorno per andare a trovare i miei parenti e i miei amici a Torre Annunziata. Sono già due mesi che non ci incontriamo. Mi mancano tantissimo. E poi sono preoccupata anche per i nonni. Sono anziani...».
C’è stato un momento della tua vita, dopo l’eliminazione ai quarti alle Olimpiadi di Rio del 2016, in cui volevi abbandonare la boxe, ritornare nella tua terra, cercarti un altro lavoro. Tua madre ti disse soltanto: «Irma, la vita è tua. Ma che cosa vieni a fare qui, la sguattera?».
«Ero un’adolescente. Più impulsiva, immatura. Non ho retto alla pressione e alle aspettative che si erano create. Me ne sono andata di casa a soli 15 anni, del resto, ad Assisi, insieme a tutta la squadra di pugilato. Mi mancava la famiglia, la mia terra, le amiche.
È anche normale che mi sia chiesta se volevo davvero fare un altro percorso di rinunce, dopo la sconfitta. Alla fine, però, mi ha aiutato molto il mio primo maestro di pugilato, Lucio Zurlo. È uno di famiglia».
Compare anche in un docufilm che ti hanno dedicato, Butterfly, del 2018, commovente. Che cosa rappresenta per te Lucio?
«L’ho conosciuto presto, quando avevo undici anni ed ero una bambina (Lucio Zurlo ha fondato al palestra La Boxe Vesuviana nel 1969, ndr) confusa e un po’ ribelle come tante, vivevo in strada, non mi piaceva studiare, ma non immaginavo un futuro diverso. Mia sorella più grande, che ora è cameriera in un bar e lavora da quando aveva 13 anni, per me un punto di riferimento importante, faceva già danza e boxe nella sua palestra.
Mi è venuto naturale seguirla. La verità comunque è che se non avessi incontrato Lucio, che per me è un po’ come un padre, non avrei mai avuto una vita così sana e piena come quella che ho ora. Mi ha aiutata nei primi passi, mi ha fatto capire l’importanza dello sport e della disciplina.
Non mi sono persa, come molti miei coetanei, anche perché ho incontrato lungo la strada le persone giuste. Questo non lo dimentico».
Vieni dal rione Provolera, uno dei più caotici e violenti di Torre Annunziata. Hai avuto un’infanzia non facile. Che cosa diresti ai tuoi coetanei e conoscenti che magari rischiano di finire dentro o non ce la fanno ad alzarsi e combattere?
«Che non importa, non conta solamente in quale famiglia sei nata. C’è sempre nella vita un’altra strada. Può essere lo sport, come nel mio caso, ma può essere anche lo studio o qualsiasi altra passione. È un po’ come sul ring: bisogna sempre rialzarsi, inseguire i sogni».
Sei anche un’atleta delle Fiamme oro della Polizia di Stato. Una volta hai detto che ti vedi con una divisa, quando abbandonerai la boxe...
«Sì, ma non mi vedo nascosta dietro una scrivania. Vorrei stare in strada, operativa».
E se ti capitasse di incontrare qualche conoscente?
«Dietro ogni persona che commette un reato c’è sempre una problematica, seria e grave. Io penso che quella persona può essere aiutata e fermata. Ma il lavoro di polizia è un altro: comprendere sì, ma agire. Non ci si può tirare indietro in quei momenti».
Che cosa ti preoccupa di più ora che tutta l’Italia è ferma?
«Tantissime persone perderanno il lavoro. Molte non avranno i soldi per sfamare le famiglie. C’è grande sconforto, anche tra le mie amiche. L’unica cosa che non possiamo permetterci è di finire al tappeto».