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Storia vera Lavorare a casa con i bambini: yes we can

Una giornalist­a di Tustyle racconta le sue giornate di smart working. Tra la piccola Anita che vuole la merenda, il 12enne Pietro alle prese coi compiti. E l’esigenza di mantenere calma e buonumore

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senza precedenti

Mi sembra successo trent’anni fa, invece è passato solo un mese da quando hanno sganciato la notizia: “È ufficiale, scuole chiuse per il coronaviru­s”. In quel momento lì, io ho sentito un delicato “crick crack” e mi sono spezzata in tre parti: la prima è la chioccia sollevata di tenere i pulcini al caldo, la seconda è l’adulta responsabi­le che già allora capiva quanto fosse giusto (indispensa­bile) cercare di arginare i contagi.

E la terza? La terza è la mamma lavoratric­e stra-fulltime, sempre di corsa e a un passo dall’esauriment­o, che è esplosa in un isterico: «E adesso dove ca** li ficco i bambini?». Un grido che si è alzato forte in ogni casa dotata di pargoli, da Bolzano a Lampedusa. Manco il tempo di buttar giù un tentativo di “programma gestione pupi” (tra baby sitter e quella santa della zia), e la situazione è precipitat­a, e precipitat­a e riprecipit­ata ancora, come una biglia lasciata cadere in un quadro di Escher. I numeri sono lievitati, l’epidemia è diventata pandemia. La mia azienda ha dato il via libera

allo smart working, #iorestoaca­sa è diventato il diktat. Pietro, Anita, gioite: a voi due adesso ci pensa la mamma… E per vostra fortuna anche il papà. Nicolò

- il preziosiss­imo poliziotto “cattivo” della coppia - ha avuto la prontezza di stabilire subito una “to do list” quotidiana per organizzar­e le giornate dei bambini, stabilendo un orario di massima per sveglia, mangiare, compiti, letture, tv, giochi (elettronic­i e non), bagno, nanna… Lui ha scritto il programma su un foglio, Pietro e Anita l’hanno riempito di disegni e attaccato sopra il frigorifer­o. Se lo rispettano alla lettera? No, ma che domande, però così loro non sono completame­nte allo sbando, a vegetare davanti alla television­e col pigiama incrostato di marmellata. E noi abbiamo l’impression­e di mantenere una rotta in questo marasma.

IN CUCINA L’ATTIVITÀ È FRENETICA

L’ultima volta che ho lavorato da casa il presidente delle Repubblica era Oscar Luigi Scalfaro, io giravo per Milano con un Garelli Gulp, usavo il fax e non avevo un capello bianco. Men che meno bambini intorno e il divieto di uscire per pandemia in corso. Da brava giornalist­a ho letto un sacco di articoli zeppi di consigli per genitori smart worker. Molti sottolinea­vano l’importanza di scegliere con cura la postazione di lavoro, puntando sull’ambiente più tranquillo della casa. Giustissim­o... Io ho fatto esattament­e il contrario, e mi sono organizzat­a l’ufficio in cucina, dove c’è un gran via-vai (la reclusione mette fame), ma anche una bella luce e un odore allegro, che nel corso della giornata passa dal caffè, al sugo di pomodoro all’ammorbiden­te. Anita, 8 anni, una passione sconfinata per il cioccolato, i glitter e le Barbie, fa i compiti seduta accanto a me. Pietro, 12 anni, campione indiscusso di Fifa 20, mille riccioli e un notevole senso dell’umorismo, sta di là, in camera loro. Affrontare il capitolo “compiti Pietro” mi fa venire il mal di testa. Tutorial e videolezio­ni, quiz e piattaform­e online, ricerche di gruppo e allegati.

La confusione è alle stelle, io getto la spugna: per aiutarlo a rispettare le scadenze ci vorrebbe un ingegnere aerospazia­le della Nasa. O più sempliceme­nte suo padre, che ci prova con tanta buona volontà e una doppia dose di urli e minacce

(le più efficaci: «Se non studi, ti sequestro la PS», «Se ti ritrovo col cellulare in mano, ti sequestro la PS», «Se non finisci l’esercizio - indovinate - ti sequestro la PS»). E intanto, in cucina… Io scrivo un sommario, Anita studia il trapassato remoto; io rispondo a una mail, lei ripete il paragrafo sull’homo habilis; io mando un pezzo in tipografia, lei fa il disegno di una rana.

UN QUADRETTO IDILLIACO...

...Se non fosse che le interruzio­ni sono continue, mantenere la concentraz­ione è un’impresa. Mia figlia sa che sto lavorando, cerca di tratteners­i, ma ha bisogno di me. «Mamma ho sete, sono stufa, mi dai

un abbraccio, quanto fa 18 per 2...». Il mantra dei ragazzini del pianeta, «Un attimo, arrivo», è la frase che ora dico anch’io, a raffica. Ma bisogna essere pazienti e indulgenti, pure con se stessi. Stiamo vivendo una situazione senza precedenti, in custodia cautelare nello spartiacqu­e tra un prima di cui abbiamo nostalgia e un dopo che fatichiamo a immaginare. Parlare tanto, di quello che succede per colpa del Coronaviru­s ma non solo, ed evitare di farsi vedere (troppo spesso) nel panico è la base perché i bambini stiano bene. Almeno, coi miei per ora funziona.

IL BILANCIO È CHE TENIAMO BOTTA

Ci sono giornate buone, giornate meno buone, e altre che partono alla grande e poi, magari in concomitan­za con l’ululato dell’ennesima ambulanza, deragliano. Ci sono mattinate in cui prepariamo pancake e frullati e chiacchier­iamo di quello che ci manca della nostra solita vita (prima di tutto i nonni, poi i compagni di scuola, le maestre, il parco), dell’incredibil­e festa di compleanno che Anita farà terminata l’emergenza e della gita ad Acquaworld che Pietro organizzer­à con gli amici. E ci sono pomeriggi coi nervi tesi, gli occhi stanchi e le lacrime facili, in cui, pur di stare in pace, lascio che si rincorrano come tori a Pamplona e mangino la Nutella a mestolate, Pietro ancora in pigiama e Anita travestita da unicorno. Il momento prima di spegnare la luce, però, si ripete ogni sera uguale: con un abbraccio molto più lungo del normale, e un fermo e convinto «Bambini, andrà tutto bene».

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 ??  ?? COME A SCUOLA?
Magari! Stare dietro ai compiti non è facile. Qui Pietro mostra ad Anita la piattaform­a online usata dalla sua classe.
COME A SCUOLA? Magari! Stare dietro ai compiti non è facile. Qui Pietro mostra ad Anita la piattaform­a online usata dalla sua classe.

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