Storia vera La mia voglia di maternità contro il virus
Monia è diventata mamma da pochi giorni. In un momento surreale, superando un numero pazzesco di difficoltà. Ma con una fiducia incrollabile, in se stessa e nella vita
«Io ho incominciato a sognare sette anni fa. Un sogno semplice, comune a molte donne: avere un bambino. Ma quello che per molte è un percorso felice e naturale, si è presentato subito come una salita ripidissima, un percorso a ostacoli sempre più faticosi. Mi chiamo Monia Ripamonti, ho 41 anni e il 4 aprile sono diventata mamma di Tommaso. Il primo ostacolo si chiamava endometriosi al quarto stadio. Non impossibile, ma complicatissimo portare avanti una gravidanza; è stata dura trovare un ginecologo a cui affidarmi in toto, che mi ascoltasse. Sono stata operata e nel 2014 ho cominciato il mio percorso con la PMA (Procreazione Medicalmente Assistita). Un anno dopo ho fatto due tentativi, ma intanto mia madre si era ammalata di cancro. Ecco l’ostacolo numero due: psicologicamente provata com’ero, naturalmente non sono andati a buon fine. Ci ho riprovato, fallendo, anche nel 2017 ed ero sul punto di dire basta. Ma sono nata combattente, così qualche tempo dopo ho trovato un centro medico speciale, che si prende cura delle persone nella loro interezza, fisica e psichica. Sono stata affidata a una counselor e con lei ho superato l’ostacolo numero tre: cercare di capire cosa stava accadendo dentro di me.
In un percorso durato sette mesi, ho fatto i conti con i miei due lutti: la perdita di mia madre e la fatica di diventare madre a mia volta. Alla fine di questo viaggio ho incontrato lì un altro medico: lui ha messo in ordine i tasselli disordinati del mio viaggio e mi ha fatto sentire, finalmente, di essere sulla strada giusta.
ALL’IMPROVVISO, LA FELICITÀ
Quando, nel luglio scorso, ho scoperto di essere incinta, con mio marito siamo impazziti: da una parte, la felicità a portata di mano, dall’altro il timore di essere precipitosi. Abbiamo centellinato le notizie sul mio stato, che sono arrivate solo a una cerchia ristrettissima di persone. Ho avuto molti disturbi comuni a molte donne, ma quel che non sapevo era che un nuovo ostacolo, il numero quattro, avrebbe condizionato l’epilogo di questa storia.
Il coronavirus ha cominciato a diventare anche il mio incubo durante l’ultima fase della gravidanza e quando sono stata ricoverata all’ospedale Macedonio Melloni di Milano, in una città deserta, in un’Italia smarrita, a mio marito è stato permesso di entrare solo due ore prima del parto cesareo programmato. Il clima ospedaliero, pur con mascherine e guanti ovunque, era surreale ma non è stato influenzato dall’emergenza: per tutelare le puerpere è rimasto operativo solo il reparto maternità, gli altri sono stati chiusi e i pazienti trasportati altrove. Il mio è stato un parto cesareo programmato (et voilà, ostacolo cinque), il bambino pesava più di quattro chili ma oggi, finalmente, siamo tutti a casa.
NIENTE PAURA!
Può sembrare strano, ma non ho mai avuto paura di questo mostro che è il covid. Gli ostacoli affrontati e superati mi hanno reso più forte, ho imparato che la vita non è una retta, per tutti ci sono inciampi, brusche frenate e dolore ma so convivere con questa realtà, la gestisco. Penso a Tommaso e credo che dovremmo tutti aggrapparci a questi bambini che decidono di venire al mondo nonostante tutto, alla faccia della pandemia. Questo momento delicato può cambiare l’esistenza di tutti, per molti già l’ha fatto. Domani tutti riprenderemo le nostre vite, riapriremo il pacchetto completo delle incombenze, delle corse e della socialità; farò lo stesso anch’io ma sono sicura che avrò un occhio più lucido sui miei rapporti. Sono cresciuta con mia nonna, donna di un’altra epoca e in queste settimane ho riflettuto su cosa sia la socialità vera: è sostegno, attenzione, qualcosa di molto diverso dalle molte relazioni distratte che affollano la nostra esistenza. Il sostegno e l’attenzione che gran parte dell’Italia ha mostrato in questo momento, la forza di un bambino che ha scelto proprio questo momento per nascere mi sembrano due ottimi punti d’appoggio su cui ricostruire poco alla volta le nostre vite».