La cardioposta di Pulsatilla
Cara Pulsatilla, pulsanti per “l’espulsione del seggiolino eiettabile” non so più quanti ne ho premuti, ed ora abito in un “bosco” favoloso a misura di me. Ci ho messo dentro un sacco di cose, i miei figli, la mia casa (acquistata con le mie forze grazie al mio lavoro), pochi amici e alcune piccole passioni che coltivo con risultati per lo più mediocri ma che mi fanno sentire viva. E poi è arrivato questo gigante invisibile che chiamano coronavirus a mettere ulteriori recinzioni a quanto era già recintato perfettamente (anche troppo recintato, col senno di poi). E sono cominciate le riflessioni.
O le dovrei chiamare paure; ma non è da me. Il bosco, come lo hai chiamato tu, mi ha permesso di uscire, sganciandomi da tutti quei rapporti e situazioni che mi costringevano, cercando di oltrepassare quelli che sentivo come limiti, per conoscere il mondo. E ora? Ora il perimetro del bosco è pieno di mitragliatrici a difesa e il ponte levatoio è alzato. Come ne usciremo? Molly
Chi non avesse letto il numero 15 di Tustyle penserà, leggendo di boschi e seggioini eiettabili, che io e Molly ci siamo fumate un intero cespuglio di peyote: tranquilli, stiamo bene. Quello di cui si parlava era la nostra (a volte scadente) capacità di lasciare la comfort zone. Cos’è la comfort zone: ad esempio una relazione di coppia logora, ma tranquilla; un noioso lavoro 9-17 che però ci rassicura con un contratto a tempo indeterminato; amicizie stantie con persone che non ci capiscono, che non ci somigliano, che tutto sommato neanche ci piacciono, ma che magari ci tappano i buchi in quelle sere in cui non c’è niente in televisione, e che sicuramente ci verrebbero a spingere la macchina se restassimo in panne senza benzina sulla circonvallazione. Lasciare la comfort zone fa paura. Perché significa addentrarci verso nuovi scenari (nuovi=ignoti) e a tratti spaventosi (il bosco!). Magari nella penombra lussureggiante e misteriosa di quel bosco potrebbero esserci i lupi (i lupi!). Eppure il bosco contiene la promessa di un rinnovamento, e bisogna attraversarlo (anche perché, come si diceva, non è mica detto che là dentro ci siano i lupi: magari ci sono funghetti trallallà, uccellini, una comoda baita, un muscoloso taglialegna a torso nudo che ci offre una cena, una casa, un nuovo amore). Cara Molly, sono contenta che tu abbia fatto piazza pulita di ciò che non ti serviva e che abbia avuto il coraggio di addentrarti nella selva. E sono felice che ad aspettarti non ci fossero i lupi mannari ma dei figli, delle passioni, degli hobby, dei nuovi amici, una bella casa, ma soprattutto, la sicurezza derivante dall’aver avuto il coraggio di affrontare a testa alta la paura dell’ignoto. Ma ho una brutta notizia per te, e per tutti i cari amici che ci seguono da casa
(mi raccomando, da casa). Le sfide non finiscono mai. Mai. Voglio dire, ciò che prima era un bosco, pieno di avventure e di incognite, dopo un po’ che ci abiti diventa a sua volta una comfort zone. Ed è a quel punto che sollevi gli occhi dal tuo cocktail, scendi dalla tua amaca e scorgi all’orizzonte un nuovo bosco che ti chiama. La carta stampata non se la sta passando bene al momento, infatti è tempo anche per me di rispolverare i miei talenti e iniziare dei progetti nuovi (un romanzo?). È tempo di costruire un nuovo rapporto con mia figlia. È tempo, forse, di lasciare questa casa e trovare una soluzione più economica: forse è la volta buona che corono il pericoloso sogno di provare a vivere con altre famiglie. Insomma, cara mia, questo coronavirus segna il limitare di un bosco. Ma dove finisce un mondo, ne comincia sempre un altro. È la piattaforma dell’espansione, è il bello di essere vivi, e in questi giorni di necrologi, essere vivi non è roba da poco.