Editoriale
Mai, in mezzo a tutto il dolore e la paura del Covid, in mezzo al disorientamento, allo shock, in mezzo ai timidi segnali di ripresa, in mezzo a tutte le parole che sono state dette, a tutti i commenti che sono stati fatti, le ipotesi, le congetture, i discorsi di ringraziamento, i decreti che sono stati emanati… mai, dicevo, ho sentito un «grazie» a quelli che appartengono alla mia categoria. Sono un’educatrice in una Comunità per minori, e ho sostenuto, spiegato, improvvisato, condiviso l’apatia, cercato soluzioni che non sempre ho trovato, asciugato lacrime, dispensato coccole, gestito i nervosismi degli altri, sorretto tutti i leoni in gabbia che spesso giravano senza sosta, con fare minaccioso non per gli altri bensì per loro stessi. Ho provato una fitta al cuore ogni volta che non ho sentito un rimando, nella lista di tutti coloro ai quali andavano giustamente i ringraziamenti, a quello che di infinito io e i miei colleghi facciamo. Perché è vero che è il nostro lavoro, ma stavolta la vita era diversa per tutti, e con questo virus così democratico pure io avrei avuto voglia di essere coccolata, di qualcuno che mi avesse detto: “Andrà tutto bene, stai tranquilla”.
Come soldatini, soldatini non di legno ma in carne e ossa, siamo andati avanti tutti i giorni, sin dal primo giorno, a prenderci cura di figli non nostri, a mettere a tacere ogni nostra paura che tanto non ce lo potevamo permettere, a capire che non si poteva pensare in alcun modo di fare un passo indietro. Io non ho mai pensato di farlo. Il «grazie» della collettività lo avrei voluto per ricordarci del senso di appartenenza, perché in questa società storta è come se i “miei” ragazzi in qualche modo appartenessero un po’ a tutti, e tutti coloro che si mettono a disposizione lo fanno per aiutarli ad imboccare una via un po’ meno tortuosa nella loro vita. Il mio «grazie» comunque in qualche modo l’ho ricevuto, e si rinnova ogni giorno. I miei ragazzi che mi attendono con ansia al portone e che mi aspettano per fare i compiti di matematica o per confidarmi “quel” segreto. Ora c’è solo bisogno di una bella gita tutti insieme. Gliel’ho promesso, e lo faremo.
Elisa, educatrice