Pinguini Tattici Nucleari Siamo più calorosi dei pinguini veri
dall’hype Ringo Starr. Dato che non era possibile girare una clip in quarantena, i PTN hanno chiesto ai fan delle riprese dei loro momenti felici. E con i tremila contenuti arrivati in pochi giorni, hanno costruito il video della canzone.
La clip è un collage sentimentale. Com’è nata la call to action ai fan? «In questo periodo atipico che ci dimostra che la storia non è finita ma si sta ancora scrivendo, dovevamo trovare una modalità godibile ma anche divertente che coinvolgesse i fan, perché l’idea era ringraziare chi ci ha supportato in questi mesi. Il video ci è sembrata la quadratura del cerchio».
Allegri, genuini, con la voglia di mettersi in gioco. Non trovi che i vostri fan in fondo vi somiglino?
«Tantissimo. Quando abbiamo iniziato a suonare prima che un pubblico volevamo trovare della gente che fosse nostra amica. È come nel cartone Esplorando il corpo umano, dove le proteine hanno delle forme geometriche e si legano sempre ad altre proteine complementari. La stessa cosa succede con la musica: scriviamo canzoni per un pubblico ricettivo. Ci piace essere simili a chi ci ascolta».
Ridere racconta di una storia finita e della sensazione molto comune di diventare degli sconosciuti dopo un po’ di vita insieme. Parli di te? «Le canzoni sono sempre un misto tra cose vere e cose indorate. Non può essere tutto finto perché la canzone nasce dalle emozioni, ma neanche tutto vero sennò rischi di offendere le persone che si ritrovano nel testo. Dev’essere un mix poeticizzato. Tante volte l’abilità di chi scrive è quella di saper modificare qualche dettaglio per essere più strumentale per la storia. Ma qui, per rispondere alla tua domanda, di dettagli modificati ce ne sono davvero molto pochi!». «Ironicamente l’avevamo detto più di un anno fa. L’hashtag infatti è tratto dal singolo Verdura, in cui nel ritornello si dice “siamo alla fine del mondo”. E guarda cos’è successo: è andata proprio così».
Voi ragazzi siete amici dai tempi della scuola, eppure non vi siete visti per due mesi. È stata dura?
«È stato molto triste perché siamo abituati a uscire insieme anche solo per sushi e birra e questo equilibrio è stato raso al suolo. Mentre dal punto di vista musicale non è cambiato molto. Io scrivevo i testi, li mandavo in chat, loro mi inviavano delle parti suonate: la macchina della musica fortunatamente non si è fermata del tutto».
«Ho trascorso la quarantena da solo ad Albino (in provincia di Bergamo come Alzano Lombardo, dove Riccardo è nato, ndr). In generale sono convito di avere fortuna, vivo una sorta di determinismo positivo, ma solo nei miei confronti. Questo ottimismo non viene traslato alle persone a cui voglio bene, e quindi sì, ho avuto paura non per me ma soprattutto per i miei nonni».
Riccardo, riesci a fare una sintesi di tutto quello che vi è successo da Sanremo a oggi?
«Ci provo: hai presente quando parti in macchina e sei in ritardo, e devi correre ma nella fretta non ti accorgi che hai lasciato il freno a mano tirato? Quando è scoppiata la pandemia dovevamo partire come se il mondo fosse il nostro, avevamo il tour, gli instore. Ci sentivamo di poter volare e invece il mondo frattempo si stava fermando. Così ci siamo dovuti fermare anche noi. Il primo pensiero è andato alle persone con cui lavoriamo, per non abbandonare la filiera della musica ma era chiaro da subito che non si poteva continuare».
«Da buon bergamasco ti direi con lo spirito nel senso di una vodka, perché mi manca tantissimo uscire con gli amici, stare al bar a fare quattro chiacchiere. Purtroppo credo che solo il vaccino ci farà stare tutti più tranquilli».
Com’è la storia che il nome della band deriva da una birra? «Avevamo 16 anni, eravamo dei ragazzini con un nome che non significava nulla. Pensa che è l’unica cosa che abbiamo fatto senza riflettere sulle conseguenze. Oggi siamo dei meditatori professionisti, discutiamo di tutto fino allo sfinimento. E poi, a dirla tutta, dei pinguini non abbiamo nulla: loro sono algidi, noi molto più calorosi».
Dici spesso che Bergamo è la tua città, e che da lì non ti muovi.
«Sto valutando Milano per comodità ma il mio baricentro resta qua. Mi piace la dimensione cittadina di Bergamo, siamo abituati a lavorare e poi è vicina a tutto. Per un po’ in questi mesi è stata il centro del mondo ma ora si sta ristabilendo una normalità. È una città modello».
«Come presentatore subito! Come concorrente ci pensiamo, è un orizzonte al momento lontano».
tustyle
celebrità tuttofare
Reese Witherspoon ha intervistato Laura Dern. Forse vi è capitato sott’occhio, in un link su Facebook o tra i related videos di YouTube. Le due sono amiche da tempo, e lo sapevamo. Hanno recitato insieme in Big Little Lies (oltre che in un film di qualche anno fa, Wild, in cui erano rispettivamente figlia e mamma), e sapevamo anche questo. Non sapevamo, o quantomeno l’abbiamo scoperto in queste pazze settimane, che Reese ha aperto una specie di tv virtuale. O meglio, ha sfruttato la società audiovisiva da lei stessa
Da sinistra, Eva Green (39) nel suo libro per Soho House; gli autoscatti di Robert Pattinson (34) su GQ; Katy Perry (35); la locandina della lezione del coreografo Ryan Heffington con Emma Stone (31).