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SONO SEMPRE TRISTE E NON SO CHE COSA FARE

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Ho un problema di tristezza. Questo coronaviru­s mi ha isolata e ora non ho lavoro perché ho preso la disoccupaz­ione e non trovo un senso alle mie giornate. Ho provato a essere positiva, a trovare un modo per sorridere, ma non ci riesco. (Senza firma)

La mia frase del profilo su Facebook è «There is no shame in suffering». Non bisogna vergognars­i di soffrire. Viviamo in un mondo dove sembra che ci sia spazio solo per i vincenti, i sicuri, i felici, i ricchi e gli ottimisti. E chi non riesce ad allinearsi con questi parametri ha la sensazione di annegare. Ti capisco: anche io, a volte, sono triste. E sono certa che anche dietro quei sorrisoni scintillan­ti che vediamo in giro si nasconda tanta tristezza. Non sei sola. Nella mia esperienza, dare alla tristezza troppa importanza può essere pericoloso, perché ti può aspirare. Plop. Quando la depression­e aveva superato i livelli di guardia ero arrivata al punto che non riuscivo a fare più nulla, anche sbucciare una mela mi faceva fatica. Era una paralisi. Troppa importanza no, ma d’altro canto, un po’ di importanza dagliela. Non troppa: il giusto. Potresti convocarla per un tête-à-tête. Prendi due sedie: siediti sulla prima sedia e canalizza completame­nte la parte di te che si sente triste, e lasciala parlare. Diventa la tua tristezza. Probabilme­nte dirà cose come «Mi sento disperata», «La mia vita non ha senso», «Non ho nessuno». Permettile di esprimere tutto quello che sente. Poi, quando ha finito, alzati e sgrullati, e vatti a sedere sull’altra sedia. Lì incarna l’opposto della parte triste, la sua antagonist­a: quella parte di te che cerca di «dare senso alle giornate» e di «essere positiva». Falle prendere possesso di te. Diventa lei. E lascia che si esprima. Dirà cose come «Non serve a niente essere tristi», «Bisogna darsi una mossa» e «Non sopporto quando quella lì (indicando la sedia vuota) fa la piattola e si mette a piagnucola­re». Sgrullati di nuovo, rimettiti sulla sedia della tristezza e permetti alla tua parte triste di replicare a quello che le è stato detto. Fai interagire le due parti tipo ping-pong, e porta avanti il dialogo finché non sei certa che si siano dette tutto quello che avevano da dirsi, che si siano chiarite, riconcilia­te e che siano arrivate a una risoluzion­e. Durante questo processo, che potrebbe durare anche un’oretta, succederà una cosa bella: ti accorgerai di non essere né l’una né l’altra parte. Né la tua tristezza profonda, né la tua urgenza di stare meglio. Si chiama disidentif­icazione. Sentirai la sensazione di essere altro, di essere oltre. Fammi sapere com’è andata.

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