Linus Non c’è vita priva di intoppi
Nel suo libro Linus immagina il suo ultimo giorno in radio. La verità? Non lascia, raddoppia. E mette nero su bianco anche i momenti più difficili
amarcord a radio accesa
Se pensate di conoscerlo bene solo perché lo ascoltate da anni alla radio, e lo sentite raccontare aneddoti della sua vita, sappiate che Linus non è tutto lì, in quella voce e quelle gag, o nella parlantina allegra. Per la prima volta in 43 anni vissuti tra microfoni e tivù, il 62enne conduttore si scopre in un romanzo a sfondo autobiografico, Fino a quando, da poco uscito per Mondadori. «Gli ascoltatori sanno di me solo quello che c’è di simpatico, divertente o anche cialtrone. Con il libro volevo far capire che anche la vita di un personaggio fortunato come me non è sempre semplice o priva di intoppi» racconta.
La storia inizia con un espediente narrativo: Linus immagina il suo ultimo giorno a Radio Deejay e, preparando l’addio, rivede la sua storia come in rewind. Ricorda l’infanzia e i genitori, il fratello minore
(e collega) Albertino detto “U’mninn” nella famiglia pugliese, la sorella più grande chiamata Tigra per il caratterino. Ricorda i pomeriggi di noia a Paderno Dugnano, dov’è cresciuto, passati al bar ad aspettare il padre che gioca a carte. Poi i 19 anni con il debutto alla radio, il primo amore, la bocciatura. E ancora: i successi ma anche le cicatrici, una lunga crisi con la moglie Carlotta, i momenti di stanchezza professionale. È in uno di questi che immagina, romanzandolo, il suo ultimo giorno. Ma finito il libro, non solo non lascia: raddoppia. Da fine aprile è direttore di tutte le radio del gruppo Gedi (Deejay, Capital, m2o e relativi canali tivù).
Uno strano anno per te, questo 2020.
«Con il lockdown ho riscoperto una vita più lenta di cui avevo bisogno, più tempo per la famiglia e i figli (Filippo e Michele, 24 e 16 anni, ndr). Ora è ripresa la frenesia ma il nuovo incarico mi ha gratificato: metto molto di me in questo lavoro “artigianale” fatto di musica, personaggi, scalette. Quanto al romanzo, mi mancano gli incontri col pubblico, il ricordo più bello dei libri precedenti (l’ultimo 10 anni fa: Parli sempre di corsa, ndr)».
“Ho scritto queste pagine come antidoto alla stupidità o alla cattiva sorte”, premetti nel libro. Vale a dire? «L’ho scritto la scorsa estate dopo essermi stupidamente fatto operare alla schiena per poi scoprire che non era necessario. A volte bisogna accettare qualche défaillance, aspettare che passi. Io invece mi fisso con l’efficienza a tutti i costi».
È vero che sei perfezionista al punto da non voler essere guardato mentre stai imparando qualcosa? «Sì. Forse è per un bisogno di sentirmi accettato che risale all’infanzia, quando siamo arrivati a Milano dal sud. Non mi sono mai sentito “terrone”, ho un ricordo bellissimo dei vicini milanesi. Il disagio era più socialeeconomico, i miei avevano sempre il timore che i soldi non bastassero. Per questo ho cercato la sicurezza. Poi sono competitivo, mi piace fare bella figura».
Della gente del sud ti è rimasta la generosità. Mi ha colpito la tua abitudine di ordinare due pizze... «Sapere che qualcuno viene apposta in motorino per così poco mi fa sentire in colpa. Così ne compro due, una la surgelo. Credo nel potere della gentilezza, spero che crei un circolo virtuoso. Non so se è per le radici meridionali o quelle della provincia, ma il mio precetto è fare agli altri quello che vorrei fosse fatto a me».
Come vivi oggi quello che a inizio carriera chiamavi il “fascino del deejay”?
«La paura di dire “basta” coincide con quella di perdere i vantaggi del personaggio pubblico. Molti personaggi famosi tendono a sottolineare i lati negativi del successo, ma essere benvoluti è sempre piacevole».
I social hanno amplificato il culto della celebrità.
«Già, e tutti condividono solo i momenti scintillanti sapendo di essere un po’ bugiardi perché la vita non è tutta così. Eppure tutti credono alle bugie degli altri quando li vedono sorridenti e pettinati nei post».
Ti sei formato con Jovanotti, Fiorello, Gerry Scotti. Vi vedete ancora spesso?
«Non spesso, abitiamo lontano, ma quando succede è come ritrovare gli amici di scuola. Li sento molto vicini».
I tuoi figli potrebbero seguire le tue orme?
«Ho sempre cercato di evitarlo per proteggerli dai paragoni o da sospetti di nepotismo. Filippo studia e farà altro, ma nella stanza di Michele purtroppo è spuntato un mixer...».
La radio è un mestiere per giovani?
«Non proprio. Si diventa bravi a 30 anni e, se sei fortunato, resti 30enne per sempre. Io mi sento così».
La canzone del 2020?
«Per fortuna deve ancora arrivare. Meglio così. Ci ricorderà l’estate e non i mesi più angosciosi dell’anno».