Ci incontriamo ora o quando sarà “normale”?
Tana, liberi tutti. Possiamo tornare fuori, girare allegramente per le regioni. Soprattutto, rivedere gli amici. Ma dove? Lontani ma vicini al bar, in casa impastando pizze per loro? Io non ho dubbi: faccio come se fossimo ancora in fase 1. Tanto, c’è tem
Fase 1, 2 o 3?
Da quanto tempo non fate una videocall con un gruppo di amici? Io da tantissimo. Certo, bisogna mettersi d’accordo su quel che s’intende per “tantissimo”: stiamo vivendo un periodo sospeso e dilatato, in cui una settimana pare un mese. Ma questa è un’altra storia. O forse no. Forse la storia è la stessa. La storia di relazioni costrette a congelarsi; e che poi, nel tempo dell’ibernazione collettiva, si sono trasformate; e che ora, finalmente, dovrebbero ripartire come prima, meglio di prima. Secondo quesito: in quale fase siamo esattamente? Voi l’avete capito? È ancora la 2, oppure la 2 e qualcosa, o abbiamo inaugurato la fantomatica fase 3? Io mica lo so. E allora ho deciso di comportarmi come se nulla fosse cambiato. Facciamo che siamo ancora nella fase 1. Che possiamo rimandare. Pensarci dopo. Adesso tanto non possiamo fare nulla. “Soffrite l’isolamento? Provate a pensare agli adolescenti innamorati”, titolava un pezzo recente del New York Times. Gli Stati Uniti sono ancora in piena quarantena (o chi lo sa, pure lì mica si capisce bene), riflettono su sentimenti che qua abbiamo già vissuto. Ma ecco: io, se penso agli amici da rivedere, mi sento come un teenager obbligato a frenare gli ormoni. O almeno è la scusa che mi sono dato. Sia ben chiaro: bellissime le città che si rianimano, la primavera che finalmente serve a qualcosa, le passeggiate (in bicicletta: tenere la distanza è più facile). È così che ho visto il primo amico dopo il lockdown: sulle due ruote, lontani e però più vicini. Col secondo ci siamo incontrati in un parchetto, io su una panchina e lui sull’altra, con la ronda dei vigili in sottofondo a controllare il rispetto delle norme; non esattamente una festa, diciamo. Con la terza amica ci siamo messi di buona volontà, ma poi lei all’ultimo mi ha scritto “Perdonami, ho una commissione urgente da fare”: Milano era la città degli appuntamenti cancellati all’ultimo (qua li chiamiamo “pacchi”) già prima, figuratevi ora.
DATEMI LA NORMALITÀ
E poi basta, o quasi. Non che non ci abbia provato, ma ogni volta qualcosa mi convinceva a posticipare: tanto abbiamo già posticipato tutto, che sarà mai qualche giorno ancora. E poi, dove si va: a bere un caffè (meglio: una birra) nei bar giustamente riaperti, col rischio però di essere additati come untori? E a parlare di cosa: di coronavirus? Di mascherine? Di quanto è cambiata la nostra vita? Ancora? No, basta, fermate la pandemia: voglio scendere. O meglio: voglio tornarci, nel mondo, solo quando la normalità sarà davvero normale. Ci si può vedere dentro le case, mi sono anche detto. Io, milanese atipico, lo facevo pure prima, di invitare gli amici a cena. Un gesto quasi situazionista, in una città che bramava una vita sempre “fuori”, nei nuovi locali, agli eterni eventi. Di alcuni amici cari, per dire, non ho mai visto la casa: e non credo mi inviteranno ora. Perché la casa non è più un luogo normale, le cene non sono più occasioni normali. Abbiamo passato gli ultimi tre mesi a impastare pizze, stendere tagliatelle, persino a tirare la sfoglia delle brioche, perché le pasticcerie erano chiuse. Ora dovremmo fare tutto ciò per qualcun altro? Giammai. Io la pizza la impastavo per gli amici tutte le domeniche, ma ora farlo è diventato un’impresa: 30 ore di lievitazione, anzi no facciamo 72, e inforniamola cercando l’“effetto pizzeria”, come dicono i tutorial. Finché lo si faceva per due persone, nel pieno del blocco totale del mondo là fuori,
andava bene: tra 72 ore saremo ancora qui, dove mai dobbiamo andare? Farlo per gli amici è un altro discorso. E se poi arriva il “pacco” all’ultimo? Chi mangia tutti quei panetti ben gonfi? Il lockdown ci ha messi alla prova in positivo, vedi le ricette da ristorante Michelin venute bene una volta: ma chi rischia di replicarle davanti a terzi? D’altro canto, però, ci ha abbruttiti come mai prima: dopo mesi in tuta, sicuri di volerci rimettere un paio di pantaloni col bottone in vita (bottone? che cos’è un bottone?) per accogliere degnamente un ospite?
In giro sento gente che si sforza pirotecnicamente di riorganizzare la propria vita sociale: cene casalinghe con gli amici ma in versione buffet, così non si è tutti alla stessa tavola (a me gli eventi del passato hanno insegnato che è sui buffet che ci si accalca in massa, ma tant’è).
DAI, RIMANDIAMO
Oppure un amico per sera, a turno, così da avere l’illusione – finita quella settimana di ricevimenti – di aver fatto un grande party. Io ancora non sono pronto. Verrà il momento. Dicevo: faccio come se fossi ancora nella fase 1. Ma, in realtà, non è nemmeno quello. Perché, potendoci finalmente vedere, abbiamo pure smesso di videochiamarci, come si diceva. E quindi è ancora tutto più bloccato, congelato, rimandato. Gli amici non esistono più, ma quanto sarà bello ritrovarci. A questo punto, facciamolo a una pizzata di Natale. Fuori: io per voi non impasterò più niente. PS: Nel momento in cui ho finito di scrivere il pezzo, mancano circa tre ore a un pranzo con un’amica. Ma faccio sempre in tempo a tirarle il pacco…
tustyle