Vasco Rossi, un maestro di libertà e coraggio
Sono amico di Vasco Rossi (nella foto sotto siamo ritratti insieme) da più di vent’anni, ma amo da sempre la sua musica. Da quando, negli Anni 80, a Genova per lavoro mi imbattei in una sua performance in piazza. C’era tanta gente, non il pienone. Rock duro, tanta energia, con una anomalia: faceva lo sfrontato, ma notai più di una punta di candida timidezza. L’ho rivisto nella quattro giorni romana in cui ha riempito l’Olimpico come nessuno è riuscito a fare prima. Dicono 220 mila spettatori per quattro concerti. Sbagliato: 220 mila appassionati per quattro feste. Ascoltare musica dal prato è da giovani. Farlo dalle tribune è da rassegnati. Da privilegiato ho scelto il palco, coi suoi misteriosi sincronismi, i segreti di una macchina organizzativa in cui sono tutti tecnicamente perfetti, ma soprattutto, emotivamente amici e fan. Ho visto in faccia gli irriducibili di Vasco. Quelli che conoscono ogni parola delle sue canzoni. Quelli che gli chiedono con cartelli fantasiosi occhiali e cappellini. E quelle ragazze, spesso bellissime, che gli tirano i reggiseni. E sul palco ho capito che, al di là della sua meticolosa preparazione psicofisica, il «komandante» è quel che è grazie all’energia che emanano quelli sul prato. Quest’anno Vasco è molto felice, sta bene con se stesso e con gli altri, è in stato di grazia, più giovane di sempre. Canta, si diverte, incita tutti ad avere coraggio. Anche chi lo ha considerato un cattivo maestro deve arrendersi: è un modello positivo. Parla di libertà, coraggio, spinge a guardarsi dentro e a non arrendersi mai. Vasco è ancora qua. E, grazie a Dio, ci resterà a lungo.