«NON SI SPIEGAVA LA POPOLARITÀ» RACCONTA IL FIGLIO GIUSEPPE A SORRISI
Nonera malato, se n’è andato in casa». Parla Giuseppe Pedersoli, il primo dei tre figli dell’attore. «Aveva avuto un breve ricovero dopo una caduta domestica; all’ospedale Gemelli, dove l’hanno seguito bene, gli avevano imposto 2-3 settimane di immobilità per recuperare un ematoma vicino alla colonna vertebrale, ma stare fermo a letto a 86 anni gli ha ridotto la muscolatura. Si sentiva meno indipendente, e questo lo ha indebolito. Comunque non c’era nessuna malattia e questo gli ha permesso di lasciarci serenamente». Chi c’era con lui? «Mia madre, noi tre figli ma anche i nipoti. Tanti erano venuti a visitarlo negli ultimi giorni. Terence Hill sarebbe tornato anche il fine settimana successivo, invece l’ho dovuto chiamare per dargli la notizia, è stato tra i primi a essere informato». La sua ultima parola? «È stata “grazie”. Una parola molto semplice. Se in quel momento soffriva è perché non poteva essere attivo come sempre. L’educazione sportiva gli ha dato la voglia di non smettere mai di andare avanti. Anche nella vita: era curioso di vedere cosa ci sarebbe stato dopo». Lui e Terence Hill hanno parlato per anni di un Don Chisciotte. «Lo studiammo insieme, la sceneggiatura era di Age e Scarpelli, ma il coproduttore tedesco pensò che un “Trinità vent’anni dopo” avrebbe garantito un maggiore successo. Accantonammo con rammarico il “Don Chisciotte” e facemmo “Botte di Natale”. Avere Terence come regista fu una bellissima esperienza, ma il film non funzionò; il western tra l’altro, ora riportato in auge da Tarantino, non era in voga». Come pensa che avrebbe voluto essere ricordato?